16 marzo, 2013

Il cattolicesimo liberale: un'initerrota tradizione di pensiero



I – I Cattolici liberali dell’800

La cultura cattolica vanta un’initerrotta tradizione di pensiero liberale, mostrando al giorno d’oggi la sua forza teorica, la sua praticabilità, e il suo immenso valore morale. Gli eredi attuali della tradizione del liberalismo cattolico sono Michael Novak, Leonardo Liggio, Alejandro Chafuen e P.Robert A. Sirico negli Stati Uniti d’America, Jacqes Garello, Philippe Nemo e Jean-Yves in Francia, Lucas Beltràm in Spagna, e don Angelo Tosato in Italia.
Tornando indietro troviamo Alexis de Tocqueville (1805-1859) il quale considera che ciò che caratterizza i vari socialisti è un profondo disprezzo per l’individuo, con un tentativo continuo di mutilare in tutti i modi la libertà umana, pensando che lo stato debba essere il padrone di ogni uomo.
Dopo di Tocqueville viene Lord Acton, che considerandosi un cattolico sincero e un sincero liberale, rinuncia a tutto quello che nel cattolicesimo non è compatibile con la libertà, e a tutto quello che in politica non è compatibile con la cattolicità. Secondo Acton gli ostacoli alla libertà sono non solo le oppressioni politiche sociali, ma anche la povertà e l’ignoranza. Il suo pensiero è che nella coscienza risiede il diritto e il dovere di giudicare l’autorità, considerando la libertà il regno della coscienza, seme esso di ogni libertà civile, e il modo in cui il cristianesimo è stato al suo servizio. La libertà non è un prodotto della natura ma bensì della civiltà avanzata. La libertà del buon selvaggio è un invenzione mitologica, poichè per noi, la libertà è il prodotto lento, e il risultato più alto della civiltà.
Frédéric Bastiat (1801-1850) dice che una nazione oppressa da tasse è impossibilitata a ripartirle in modo ecquo, di cui lo stato è incaricato di operare in modo fraterno i suoi cattolici, si vedra trasformati i suoi cittadini in postulanti, i quali trovano buone ragioni per dimostrare che la fraternità è intesa nel modo: “i vantaggi per me, e costi per altri”, strappando cosi alla legislazione un lembo di privilegio fraterno.
Per Antonio Rosmini (1797-1855) la proprietà privata è un valore connesso alla persona, condizione vitale di esso e della sua libertà. Costituendo la proprietà privata una sfera intorno alla persona, di cui la persona ne è il centro. Mons. Clemente Riva commenta Rosmini dicendo, che esso, concepisce la proprietà privata come un orizzonte che abbraccia valori culturali, spirituali, sociali, materiali ed economici.

II – I cattolici liberali nel Novecento

Secondo Michael Novak, teologo economista americano, ciò che ha tanto rivoluzzionato la prospettiva della vita umana, ampliando la possibilità di scegliere e di affermarsi è il capitalismo democratico. Per capitalismo democratico lui intende: un’economia prevalentemente di mercato, rispetto dei diritti della persona alla vita e alla libertà, e un sistema di istituzioni culturali animate da ideali di libertà e giustizia per tutti. Quindi, il sistema democratico si fonda sull’offerta di pari upportunità; tutti i cittadini devono aver fiducia di poter migliorare la propria condizione. Ed, nel L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo, lui asserisce che nell’intimo cuore del sistema capitalista vi è la fiducia nelle capacità creative dell’uomo.
Nella grande opera di Fredrich Hayek, sostiene Jacques Carrello, è avvenuto “l’incontro” tra il pensiero cattolico e il liberalismo, per lungo tempo in contrasto, poichè il liberalismo si presentava con tratti – tratti di razionalismo illuministico, di utilitarismo e di materialismo –, che non potevano essere inseriti all’interno della dottrina cristiana e del pensiero sociale della Chiesa. “Hayek ha distrutto quei razionalisti, eredi di una irragionevole età della ragione, che abusando di essa, sostenevano che il futuro non è, e non sarà mai, nelle nostre mani; dicendo che la società può e deve aiutare i più svantaggiati”. Garello, grazie a questi elementi del pensiero di Hayek è ragionevolmente ottimista circa gli esiti positivi che scaturiranno oggi dall’incontro tra cattolicesimo e liberalismo.
Scriveva Wilham Roepke (1889-1966) economista tedesco, che, l’antichità classica e il cristianesimo, sono i veri antenati del liberalismo, essendo antenati di una filosofia sociale, che regola il rapporto tra l’individuo e lo Stato. Sono sue queste frasi:
- In sostanza il liberalismo è il figlio leggittimo del cristianesimo.
- Il cristiano è un liberale che non sa di esserlo.
Quando morì Roepke, Ludwig Erhad cancelliere della germania occidentale, disse che il miracolo tedesco era dovuto in gran parte alle idee di Roepke.
Ma ben cosapevole del nesso, tra i suoi ideali cristiani e una politica liberale, in Germania è sempre stato Konrad Adenauer (1876-1967); alcune sue riflessioni:
- La media proprietà è una sicurezza essenziale degli Stati democratici.
- Secondo la mia opinione, gli interessi paralleli ed economicamente coordinati sono e saranno sempre la base più sana e più duratura per dei buoni rapporti politici tra i popoli.
- Secondo il mio parere, l’esistenza e il rango dell’individuo devono venire prima dello Stato.
In Italia, sulla stessa linea Luigi Einaudi (1874-1967):
- Liberalismo è quela politica che concepisce l’uomo come fine. Si oppone al socialismo il quale concepisce l’uomo come un mezzo per raggiungere fini voluti da qualcuno che sta al di sopra dell’uomo stesso, sia esso la società, lo Stato, il governo, il capo.
Don Angelo Tosato (1938-1999), maestro di liberalismo ai nostri giorni, ha mostrato con il suo lavoro esegetico, che la “richezza” che impedisce, a giudizio di Gesù, l’accesso al regno di Dio, è quella che rende insensibili all’indigenza dei fratelli, facendo trascurare il precetto fondamentale dell’amore del prossimo.

III – L’insegnamento di don Luigi Sturzo

Abate del liberalismo, nel secolo che abbiamo appena alle spalle, è don Luigi Sturzo (1871-1959). Ecco alcuni dei suoi pensieri:
- La democrazia vera non é stata statalista.
- Smobilitiamo, appena vi sia la possibilita,tutti gli enti che potranno essere passati all’economia privata, ovvero resi perffetamente autonomi. A far ciò primo e unico passo: proibizione per legge che gli impiegati statali di qualsiasi rango possano essere nominati amministratori, commisari e sindaci degli enti statali, parastatali o con partecipatazione statale.

- Io non ho nulla, non possiedo nulla, non desidero nulla. Ho lottato tutta la mia vita per una libertà politica completa ma responsabile. La perdita della libertà economica, verso la quale si corre a gran passo in Italia, segnerà la perdita effetiva della libertà politica, anche se resteranno le forme elletive di un parlamento apparente che giorno per giorno seguirà la sua abdicazione di fronte alla burocrazia, a sindacati e agli enti economici, che formeranno la struttura del nuovo Stato più o meno bolscevizzato. Che Dio disperda la profezia.
Quel poco che ci mette l’iniziativa privata da sola, al di fuori di contatti ibridi e torbidi con lo Stato, è merito di imprenditori intellegenti, di tecnici superiori, di mano d’opera qualificata della vecchia libera tradizione italiana. Ma va scomparendo sotto l’ondata dirigista e monopolista.
- Il paternalismo dello Stato verso gli enti locali, con sussidi, concorsi, aiuti e simili, toglie il senso della resposabilità della pubblica amministrazione e concorre in gran parte a deformare al centro il verso carattere del deputato.
- Oggi si è arrivati all’assurdo di voler eliminare il rischio per attenuare le responsabilità fino ad annullarle, poichè garantisce lo Stato. Allora dov’è il rischio? E la responsabilità? Svanita.
- in un paese, dove la classe politica va divenendo...classe statale, non solo va a morire la libertà economica, ma pericola la libertà politica.
- abbiamo in Italia una triste eredità del passato prossimo, e anche in parte del passato remoto, che è finita per essere catena al piede della nostra economia.
- Mi permetto di aggiungere il voto che si tenga  fermo il principio della libertà economica, elemento necessario in regime democratico cardine di prosperità e spinta al progresso.

IV – Lo scontro tra Sturzo e la Pira

Nel 1954 Giorgio la Pira scrive al presidente della Confindustria Angelo Costa che non ha senso parlare di libera concorrenza e di iniziativa privata, in uno Stato nel quale la quasi totalità del sistema finanziario è statale e i ¾ circa del sistema produttivo è direttamente o indirettamente statale.
Sturzo è persuaso che tali affermazioni provengono da un buon cristiano come la Pira, poichè per entrambi lo Stato è un mezzo, non un fine, e quindi esso attraverso la povera gente, possa assicurarea ciascun cittadino il suo minimo vitale. Tuttavia, Sturzo vede nella vuona intenzione de la Pira un errore. Errore questo, poichè lo statalista della povera gente, è pur sempre uno statalista, e lo statalismo porta alla fame distruggendo libertà e diritti umani.
Secondo la Pira i problemi del paese si sarebbero risolti ponendo la totalità del sistema finanziario in mano allo stato.
Secondo Sturzo le gestioni statali sono quasi tutte passive, e se attive sempre più costose a causa di: mancanza di rischio economico che attenua il senso di responsabilità; interferenze politiche che attenua o annulla la caratteristica dell’impresa. Tali considerazioni Sturzo le scrive sul Giornale d’Italia del 13 maggio 1954, ribadendo che la soppressione della libertà economica, presto o tardi comporta la perdita della libertà. In sostanza: “Lo Stato è per definizione inabile a gestire una bottega di un ciabbattino, e se incapace di amministrare la bottega di un ciabattino, come è stato possibile che in Italia i cattolici abbiano accettato di affidargli il quasi monopolio della scuola?”.

V – In somma:

Analizzando gli scritti del cattolicesimo liberale si rendono evidenti quelle che possiamo chiamare le ragioni della libertà: la nostra creaturalità e quindi la nostra fallibilità. Rosmini punta la sua attenzione su quella che chiama “lunga, pubblica, libera discussione”. Da parte sua, Antiseri afferma che, l’atteggiamento del liberale è qello di chi è disposto ad ammettere ‘io posso aver torto, tu puoi aver ragione’. “Mettendosi quindi in discussione – conclude –, ci si può avvicinare alla verita”. Esigendo così la discussione, che è l’anima della democrazia. Connesso ad esso, la consapevolezza della nostra fallibilita, si apre la competizione, macchina di esplorazione dell’ignoto, per il progredire della scienza.
Con entambi questi principi, quali consapevolezza della fallibilità, e principio di competizione, quello di euguaglianza. Per un cristiano non c’è nessun uomo che sia più importante di un  altro uomo, tutti hanno una uguale dignità e, questi, nella società aperta, sono uguali davanti alla legge. L’incoranazione di questa realtà e l’uguaglianza di  opportunità. Che onora i meriti e combatte i privilegi.


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