I – Introduzione
Friedrich Nietzsche (1844-1900),
nel suo La nascita della tragedia o
ellenismo e pessimismo (1872)[1] presenta
tre idee principali, dalle quali le altre presenti nell’opera, sono
subordinate: la spiegazione della origine presocratica dell’arte tragica greca,
della sua composizione e finalità; la denuncia della morte dell’arte tragica
provocata da Euripide e, infine, il suo intento di dimostrare e evocare la
rinascita della tragedia o, della concezione tragica del mondo in alcune delle
manifestazioni culturali della modernità.
Dato che il corso, e l’oggettivo
dell’elaborato, ha come scopo quello ci indurci alla lettura delle opere di
Nietzsche, non abbiamo fatto riferimento a commenti di altri autori al testo
scelto. Tuttavia, è stato preso in considerazione il suo prefazio, di una
edizione posteriore, firmato dallo stesso autore e, di carattere revisionistico,
intitolato Intento di autocritica[2]; cosi come, un
altro prefazio, quello della prima edizione tedesca, dedicato a Richard Wagner,
intitolato La nascita della tragedia
partendo dallo spirito della musica: prefazio a Richard Wagner[3]. Qualche volta si
fa dei chiarimenti a pie di pagina, al di fuori dell’autore, ma soltanto quando
fa riferimento a elementi mitologici. Infine, fu usata per elaborare questo
lavoro, la traduzione brasiliana. Cosi, la traduzione italiana presente nel
lavoro è di intera responsabilità dello studente.
II – L’origine, composizione e finalità dell’arte tragica greca
La prima idea sviluppata da
Nietzsche nell’opera è quella con cui lui cerca di spiegare l’origine,
composizione e finalità dell’arte tragica greca. La base di questa sua teoria
sono due concetti – apollineo e dionisiaco –, da lui elaborati partendo dalle
categorie metafisiche di essenza e apparenza o, ancora più precisamente, dalla
dualità schopenhauriana volontà e rappresentazione[4].
Per Nietzsche, l’apollineo è il
principio di individuazione, un processo di creazione del individuo che si
realizza come un’esperienza della misura e della coscienza di sé[5]. E,
se lui da, a questo processo, il nome di apollineo, è perché, per lui, Apollo,
dio della bellezza, è la rappresentazione, l’immagine divina del principio di
individuazione[6]. Quanto detto, si può cogliere
partendo dalle due proprietà che, secondo lui, appartengono ad Apollo: il
brillo e l’apparenza. Da un lato, Apollineo è il brillante, colui che
risplende, il solare[7]. Da
un’altra parte, l’apparenza sta intrinsecamente legata all’idea di brillo.
Cosi, concepire il mondo apollineo come un qualcosa di brillante significa non
solo creare un tipo specifico di protezione contro l’oscurità, contro il
tenebroso della vita, ma, principalmente, creare un tipo specifico di
protezione: la protezione dell’apparenza. Gli dei e gli eroi apollinei sono
apparenze artistiche che fornano la vita desiderabile, coprendo la sofferenza
della creazione di un’illusione. Questa illusione è il principio di
individuazione.
Il dionisiaco, da parte sua, è
pensato partendo dal culto delle baccanti[8].
Invece di un processo di individuazione, si tratta di un’esperienza di «riconciliazione delle persone con sé stesse e
con la natura»[9], in somma, un’armonia universale,
un sentimento mistico di unità. L’esperienza dionisiaca è la possibilità di scappare
dalla divisione, dall’individuazione, è la possibilità di fondersi all’uno,
all’essere; in sintesi: è la possibilità di integrazione della parte nella totalità[10].
Allo stesso tempo, il dionisiaco significa l’abbandono dei pregiudizi apollinei
della misura e della coscienza di sé. Invece di misura, delimitazione, calma tranquillità,
serenità apollinee, quello che si manifesta nella esperienza dionisiaca è l’hybris, la misura. Allo stesso modo,
invece della coscienza di sé apollinea, il dionisiaco produce la
disintegrazione dell’io, l’abolizione della soggettività: produce l’entusiasmo,
l’abbandono all’estasi divino, alla pazzia mistica del dio della possessione[11].
Tuttavia, l’ultima parola di
Niestzsche nel suo La nascita della
tragedia non è l’antagonismo tra apollineo e dionisiaco; è l’alleanza, la
riconciliazione tra i due principi. In questo senso, uno dei punti più
importanti dell’interpretazione è il collegamento che lui stabilisce tra il
culto dionisiaco e l’arte tragica, difendendo l’ipotesi che la tragedia ha la
sua origine nella moltitudine incantata che si sente trasformata in satiri e
sileni[12], come
si vede nel culto delle baccanti; o, più precisamente, di che, nel momento in
cui la tragedia è appena coro, imita, simboleggia il fenomeno dell’ubriachezza
dionisiaca responsabile dello scomparsa dei principi apollinei creatori
dell’individuazione: la misura e la coscienza di sé.
Tuttavia, perché questa ipotesi
si riveli in tutta la sua forza e originalità, è necessario sottolineare i due
principi componenti di questa teoria della tragedia. Prima, quello che fa con
che l’arte tragica diventi una possibilità è la musica[13]. La
tragedia nasce dallo spirito della musica; l’origine della tragedia è la
possessione causata dalla musica. Inspirato in Schopenhauer[14] e in
Wagner[15], che
interpretano la musica come espressione immediata e universale dalla volontà
intesa non come volontà individuale, ma come essenza del mondo, Nietzsche pensa
alla musica come un’arte essenzialmente dionisiaca[16] e,
pertanto, il medio più importante per disfarsi dell’individualità. Ma, se la
musica è l’elemento principale per poter spiegare la nascita della tragedia,
per dare completezza a questo fenomeno artistico, lui aggiunge alla musica, al
suo componente dionisiaco; cioè, aggiunge alla musica i componenti apollinei:
la parola e la scena[17]. A
causa di questo, lui definisce la tragedia come «un coro dionisiaco che si scarica in un mondo apollineo di immagini»[18].
Questo mondo di immagini, creato dal coro, è il mito tragico, che presenta la
sapienza dionisiaca attraverso l’annullamento dell’individuo eroico e della sua
unione col essere primordiale, l’uno originario[19].
Cosi, fondata nella musica, la
tragedia – espressione delle pulsioni artistiche apollinee e dionisiache,
unioni dell’apparenza e dell’essenza, la rappresentazione e la volontà,
dell’illusione e della verità –, è l’attività che da accesso alle questioni
fondamentali dell’esistenza.
III – La morte dell’arte tragica
La seconda idea importante di La nascita della tragedia è la denuncia
della morte dell’arte tragica provocata da Euripide[20].
Differentemente dalle altre forme artistiche, che hanno una morte naturale, la
tragedia greca avrebbe la morte per suicidio[21].
Suicidio che, secondo Nietzsche, fu generato da due cause: dalla prevalenza, in
Euripide, dell’uomo teorico, del pensatore razionale sull’artista, sul poeta[22].
Questo Euripide teorico è il critico di Eschilo, colui che ha visto nella
tragedia del suo antecessore una precisione spaventosa, una profondità
enigmatica, al di là di considerare contestabile la sua soluzione ai problemi
etici, dubbiosa la sua utilizzazione dei miti, disuguale la ripartizione della
felicità e dell’infelicità. Ma questo Euripide teorico e anche colui che, come
giudice della sua stessa arte, fa della sua poesia l’eco del suo pensiero
cosciente, rivalutando tutti gli elementi della tragedia: il linguaggio, i
caratteri, la costruzione drammatica, il coro[23]. Un atteggiamento
critico che lo conduce a escludere, con la musica, il componente dionisiaco
della tragedia. Quello che Nietzsche chiama di «la tendenza di Euripide», è la
ricostruzione della tragedia con un’arte, un’etica e una visione del mondo
non-tragica[24]. Un miscuglio di «freddi pensieri paradossali e affetti
ardenti»[25] che sacrificano tanto l’apollineo
quanto il dionisiaco.
La seconda causa, o meglio
ancora, la ragione principale, di quello che lui chiamò il suicidio della
tragedia è il socratismo di Euripide, arma con cui lui ha «combattuto e vinto la tragedia eschiliana»[26];
perché, per Nietzsche, Euripide fu «appena
una maschera nel senso in cui chi parlava per lui non era Apollo né Dioniso, ma
Socrate»[27], il prototipo del uomo
teorico, colui che incontra soddisfazione soltanto, quando strappa il velo
dell’apparenza, colui che crede sia possibile penetrare nel fondo delle cose,
separando la conoscenza vera da quella apparente. Se Nietzsche critica l’estetica
razionalistica socratica o il «socratismo
estetico»[28] come principio mortale
che ha distrutto la tragedia, è per aver introdotto nell’arte la logica, la teoria,
il concetto, subordinando il poeta al teorico, la bellezza alla ragione.
L’essenza del socratismo estetico
può essere riassunto nella seguente formula: «per essere bello tutto deve essere intelligibile»[29] o «per essere bello tutto deve essere cosciente»[30].
Principio estetico parallelo al principio etico socratico: «solo colui che sa è virtuoso»[31] o «per poter essere buono tutto deve essere
cosciente»[32]. Concezione che avrebbe
portato a considerare la tragedia come qualcosa di irrazionale cioè, un compromesso
di causa senza effetti e di effetti senza causa, e a svalutare il poeta tragico
per il fatto che non abbia coscienza di quello che fa, e di non presentare
chiaramente il suo sapere. Questo atteggiamento svaluta totalmente una saggezza
istintiva o incoscia, facendo pensare che, non avendo coscienza di quello che
faceva, Eschilo non creava nulla di giusto, nulla di certo. Quindi, se il
criterio diventa il grado di chiarezza del sapere o la coscienza teorica
dell’artista, l’arte tragica, che esprime un sapere incosciente, sarebbe,
automaticamente, squalificata.
Cosi, il socratismo estetico o la
tendenza socratica fu, per Nietzsche, il responsabile principale della morte
della tragedia o della scomparsa del suo sapere tragico. Perché, mentre la
metafisica del artista tragico – nella quale l’esperienza della verità
dionisiaca si fa indissolubilmente legata alla bella apparenza apollinea –, è
capace, con la sua musica e con il suo mito, di giustificare l’esistenza del peggiore
dei mondi, trasfigurandolo; la metafisica razionale socratica, creatrice dello
spirito scientifico, è incapace di espressare il mondo nella sua tragicità – a
causa della prevalenza che dà alla verità in favore dell’illusione e della
credenza di che sia capace di guarire la piaga dell’esistenza.
IV – La rinascita della tragedia
La terza idea importante del
libro, è l’intento di trovare la rinascita della tragedia, o della concezione
tragica del mondo, in alcune manifestazioni culturali della modernità. Da una
parte, la musica di Wagner, grande motivatore e inspiratore delle sue analisi –
a chi il libro è dedicato –, e in chi Nietzsche vede il ritorno dell’arte
dell’Antichità[33], o, più precisamente, il
ritorno del sentimento tragico del mondo; dall’atra, la filosofia di
Schopenhauer[34], che avrebbe germogliato
dalla stessa fonte dionisiaca che la musica e l’annullamento o ottimismo
socratico.
La nascita della tragedia – che fa riferimento ai greci come «nostre luminose guide»[35] –,
dà continuità al progetto de Winckelmann, Goethe e Schiller di pensare come deve
essere l’opera d’arte moderna partendo della riflessione sull’arte greca[36].
Tuttavia, negando che i greci fossero esclusivamente o essenzialmente apollinei,
Nietzsche relazionerà la serenità apollinea con un aspetto più profondo della
Grecia, il dionisiaco, che non fu pensato dei pensatori che lo precedettero[37].
Infatti, lui ritiene che gli altri che lo precederono «non sono riusciti ad aprire la porta magica che da accesso alla
montagna seducente dell’ellenismo»[38]
perché non usarono la buona chiave per questo: la musica, o meglio ancora, la
tragedia musicale.
L’originalità di Nietzsche non è
propriamente la sua concezione della musica. La sua originalità fu, inspirata
dalla concezione schopenhaueriana delle arti, valorizzare la musica per pensare
l’arte greca come un’arte fondamentalmente musicale, o come avendo origine
nello spirito della musica[39],
articolando Schopenhauer con il movimento di utilizzazione della Grecia come
modello per pensare la cultura tedesca, per mezzo del rinascimento dello
spirito tragico. E l’idea che ha possibilitato questo fu, senza dubbio, l’idea
wagneriana di dramma musicale.
Questo significa, per Nietzsche che
l’opera d’arte moderna può essere solo il segno della rinascita dell’arte apollineo-dionisiaca
della tragedia[40]. Pero significa anche la rinascita
dei miti germanici che, secondo La
nascita della tragedia, conservano lo spirito tedesco «intoccato, nella sua splendida salute, profondità e forza dionisiaca»[41].
Cosi, la rinascita dello spirito tragico greco, si vincola, in Nietzsche, alla
rinascita del genio tedesco che, anche se abbia vissuto «al servizio dei perfidi nani»[42], nel
più profondo di se stesso, si conserva intatto, con tutta la sua forza
dionisiaca. Come se lo spirito tragico, esistente nella Grecia presocratica,
invece di essere stato annullato dallo spirito socratico, pur restando
represso, si fosse conservato nella profondità addormentata dello spirito tedesco[43]. Continuità
tra il mito tragico greco e il mito tedesco, l’opera fa della nascita di un’era
tragica dello spirito tedesco appena un ritorno a lui stesso, una beatitudine
ritrovarsi a se stesso, dopo di che, per lungo tempo, immensi poteri
conquistatori, venuti dal di fuori, li ridussero alla schiavitù[44].
III – Conclusione
Se La nascita della tragedia è un libro profondamente tedesco,
parlando di «problema tedesco», «speranze tedesche», «genio tedesco», «spirito tedesco», «essere
tedesco», è a causa dell’importanza che dà alla musica o, all’idea di che
la musica sia la forza della quale Nietzsche parte per fare la sua critica alla
cultura tedesca.
Il legame tra la rinascita
tedesca dell’Antichità greca e la musica tedesca, considerata come una
condizione essenziale dello svegliarsi dello spirito dionisiaco, è cosi
importante nella Nascita della tragedia
che appare non solo nell’interpretazione di Bach, Beethoven e Wagner[45] come
tappe dello svegliarsi delle profondità dello spirito tedesco, ma, anche, nel
curioso elogio al «coro di Lutero, come
primo richiamo dionisiaco»[46]. Cosi,
La nascita della tragedia stabilisce
l’origine musicale della tragedia greca, e la sua importanza come una
metafisica di artista, soprattutto per legittimare l’arte wagneriana, suggerendo
che la rinascita dello spirito dionisiaco ne ha come una sua forte espressione
il dramma wagneriano.
Nel suo Intento di autocritica, Nietzsche attribuisce al suo libro
l’aggettivo di problematico, e concludendo che sia un libro impossibile, perché
«scritto male, pesante, penoso, frenetico
e confuso nelle immagini, sentimentale, qui e li, zuccherato fino al femminile,
disuguale nel tempo (ritmo), senza volontà di pulizia logica e molto convinto
[…]»[47]. Tuttavia, è soltanto un
intento di autocritica già che, nello stesso prefazio, evoca la validità della
predica in tutto quello che riguarda al dionisiaco. E lo fa evocando il
linguaggio dionisiaco di Zarathustra, polemizzando con i romantici, citando
letteralmente l’opera, dimostrando il genio percussore presente nel suo La nascita della tragedia
«Voi dovete imparare prima l’arte della consolazione
del al di qua, voi dovete imparare a
ridere, miei giovani amici, de tuttavia desiderate rimanere nel completo
pessimismo; forse, in conseguenza di questo, come ridenti manderete un giorno
al diavolo tutta la “consolatrici metafisica” […]. O per dirlo con quella
apparizione fantastica dionisiaca, che si chiama Zaratustra: […] “Alzate in
vostro cuore, o miei fratelli, alto, più alto! E non vi dimenticate tampoco le
vostre gambe […]. Questa corona del ridente, questa corona, ghirlande di rose,
io stesso mi sono messo questa corona sul mio capo, io stesso dichiaro santo il
mio riso. Non ho incontrato nessun altro, abbastanza forte per questo, oggi” (Cosi parlò Zarathustra, quarta
parte)»[48].
A titolo di sintesi si può
affermare che, fu intento di Nietzsche, in questo libro: presentare la doppia
radice dell’arte – l’apollinea e la dionisiaca –; far vedere come le passioni
profonde di entusiasmo panteista si sparsero nella Grecia, venute dall’Oriente,
e come i greci riuscirono, grazie all’arte, a dare forma e trasfigurare questa
minaccia; dimostrare che i greci hanno fatto sorgere dalla musica l’immagine
analoga del mito tragico, facendo con che Dioniso e Apollo si tendessero le
mani; dimostrare come la sapienza dionisiaca della tragedia si esprime in un
linguaggio superiore a quella della ragione, e che, con Socrate, la
compressione mitica del mondo scompare, quando la logica, diventa la dea
suprema della scienza; infine, fare un invito ad avere, un’altra volta, la
speranza, poi, nella nobiltà dell’arte, o ancora più precisamente, nella musica
tedesca vive, ancora oggi, la capacità di guardare il mondo nella sua totalità;
perché la musica, secondo lui, è l’unica forza capace di esprimere il
dionisiaco presente nel mondo.
IV – Bibliografia
Nietzsche, F., O nascimento da tragédia ou
Helenismo e Pessimismo, introdução, notas e posfácio de J. Guinsburg, Companhia das letras, São
Paulo, 20004.
Nietzsche, F., Cosi parlò Zarathustra: un libro
per tutti e per nessuno, introdução, Versione e appendici di M. Montanari, nota introduttiva di G.
Colli, Adelphi, Milano, 200620.
Zoppetti, A., Il dio Pan ha un aspetto simile a quello di Satiri e Sileni, in:
http://www.linguaggioglobale.com/mostri/txt/180.htm).
[8] Cortei orgiastici di donne
che, in estasi collettivo, danzando, cantando e toccando tamburi in onore di
Dioniso, di notte, nelle montagne, invadirono la Grecia, venendo dall’Asia (Cf.
www.miti3000.it/mito/
Biblio/euripide/baccanti.htm).
[12] «Satiri
e Sileni sono divinità greche, figlie delle cinque nipoti di Foroneo,
personaggio analogo a Prometeo, cui sono attribuite la fondazione della prima
comunità umana, la scoperta del fuoco e quella della metallurgia. Entrambi,
insieme alle Ninfe e alle Menadi, facevano parte del corteo di Dioniso. I
Satiri rappresentavano le potenze vitali della natura in tutta la loro
pienezza, erano demoni dei boschi e dei monti, dove trascorrevano il loro tempo
nella massima dissolutezza, cantando, ballando e inseguendo le Ninfe. I Sileni,
di origine asiatica, erano invece le divinità dei fiumi e delle sorgenti» (A. Zoppetti, Il dio Pan ha un aspetto simile a quello di Satiri e Sileni, in: http://www.linguaggioglobale.com/mostri/txt
/180.htm).
[33]
Cf. NT, 118; «La nascita della
tragedia partendo dallo spirito della musica: prefazio a Richard Wagner», in: NT, 25-26.
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