04 marzo, 2013

Friederich Nietzsche e la nascita della tragedia




I – Introduzione


Friedrich Nietzsche (1844-1900), nel suo La nascita della tragedia o ellenismo e pessimismo (1872)[1] presenta tre idee principali, dalle quali le altre presenti nell’opera, sono subordinate: la spiegazione della origine presocratica dell’arte tragica greca, della sua composizione e finalità; la denuncia della morte dell’arte tragica provocata da Euripide e, infine, il suo intento di dimostrare e evocare la rinascita della tragedia o, della concezione tragica del mondo in alcune delle manifestazioni culturali della modernità.
Dato che il corso, e l’oggettivo dell’elaborato, ha come scopo quello ci indurci alla lettura delle opere di Nietzsche, non abbiamo fatto riferimento a commenti di altri autori al testo scelto. Tuttavia, è stato preso in considerazione il suo prefazio, di una edizione posteriore, firmato dallo stesso autore e, di carattere revisionistico, intitolato Intento di autocritica[2]; cosi come, un altro prefazio, quello della prima edizione tedesca, dedicato a Richard Wagner, intitolato La nascita della tragedia partendo dallo spirito della musica: prefazio a Richard Wagner[3]. Qualche volta si fa dei chiarimenti a pie di pagina, al di fuori dell’autore, ma soltanto quando fa riferimento a elementi mitologici. Infine, fu usata per elaborare questo lavoro, la traduzione brasiliana. Cosi, la traduzione italiana presente nel lavoro è di intera responsabilità dello studente.

II L’origine, composizione e finalità dell’arte tragica  greca

La prima idea sviluppata da Nietzsche nell’opera è quella con cui lui cerca di spiegare l’origine, composizione e finalità dell’arte tragica greca. La base di questa sua teoria sono due concetti – apollineo e dionisiaco –, da lui elaborati partendo dalle categorie metafisiche di essenza e apparenza o, ancora più precisamente, dalla dualità schopenhauriana volontà e rappresentazione[4].
Per Nietzsche, l’apollineo è il principio di individuazione, un processo di creazione del individuo che si realizza come un’esperienza della misura e della coscienza di sé[5]. E, se lui da, a questo processo, il nome di apollineo, è perché, per lui, Apollo, dio della bellezza, è la rappresentazione, l’immagine divina del principio di individuazione[6]. Quanto detto, si può cogliere partendo dalle due proprietà che, secondo lui, appartengono ad Apollo: il brillo e l’apparenza. Da un lato, Apollineo è il brillante, colui che risplende, il solare[7]. Da un’altra parte, l’apparenza sta intrinsecamente legata all’idea di brillo. Cosi, concepire il mondo apollineo come un qualcosa di brillante significa non solo creare un tipo specifico di protezione contro l’oscurità, contro il tenebroso della vita, ma, principalmente, creare un tipo specifico di protezione: la protezione dell’apparenza. Gli dei e gli eroi apollinei sono apparenze artistiche che fornano la vita desiderabile, coprendo la sofferenza della creazione di un’illusione. Questa illusione è il principio di individuazione.
Il dionisiaco, da parte sua, è pensato partendo dal culto delle baccanti[8]. Invece di un processo di individuazione, si tratta di un’esperienza di «riconciliazione delle persone con sé stesse e con la natura»[9], in somma, un’armonia universale, un sentimento mistico di unità. L’esperienza dionisiaca è la possibilità di scappare dalla divisione, dall’individuazione, è la possibilità di fondersi all’uno, all’essere; in sintesi: è la possibilità di integrazione della parte nella totalità[10]. Allo stesso tempo, il dionisiaco significa l’abbandono dei pregiudizi apollinei della misura e della coscienza di sé. Invece di misura, delimitazione, calma tranquillità, serenità apollinee, quello che si manifesta nella esperienza dionisiaca è l’hybris, la misura. Allo stesso modo, invece della coscienza di sé apollinea, il dionisiaco produce la disintegrazione dell’io, l’abolizione della soggettività: produce l’entusiasmo, l’abbandono all’estasi divino, alla pazzia mistica del dio della possessione[11].
Tuttavia, l’ultima parola di Niestzsche nel suo La nascita della tragedia non è l’antagonismo tra apollineo e dionisiaco; è l’alleanza, la riconciliazione tra i due principi. In questo senso, uno dei punti più importanti dell’interpretazione è il collegamento che lui stabilisce tra il culto dionisiaco e l’arte tragica, difendendo l’ipotesi che la tragedia ha la sua origine nella moltitudine incantata che si sente trasformata in satiri e sileni[12], come si vede nel culto delle baccanti; o, più precisamente, di che, nel momento in cui la tragedia è appena coro, imita, simboleggia il fenomeno dell’ubriachezza dionisiaca responsabile dello scomparsa dei principi apollinei creatori dell’individuazione: la misura e la coscienza di sé.
Tuttavia, perché questa ipotesi si riveli in tutta la sua forza e originalità, è necessario sottolineare i due principi componenti di questa teoria della tragedia. Prima, quello che fa con che l’arte tragica diventi una possibilità è la musica[13]. La tragedia nasce dallo spirito della musica; l’origine della tragedia è la possessione causata dalla musica. Inspirato in Schopenhauer[14] e in Wagner[15], che interpretano la musica come espressione immediata e universale dalla volontà intesa non come volontà individuale, ma come essenza del mondo, Nietzsche pensa alla musica come un’arte essenzialmente dionisiaca[16] e, pertanto, il medio più importante per disfarsi dell’individualità. Ma, se la musica è l’elemento principale per poter spiegare la nascita della tragedia, per dare completezza a questo fenomeno artistico, lui aggiunge alla musica, al suo componente dionisiaco; cioè, aggiunge alla musica i componenti apollinei: la parola e la scena[17]. A causa di questo, lui definisce la tragedia come «un coro dionisiaco che si scarica in un mondo apollineo di immagini»[18]. Questo mondo di immagini, creato dal coro, è il mito tragico, che presenta la sapienza dionisiaca attraverso l’annullamento dell’individuo eroico e della sua unione col essere primordiale, l’uno originario[19].
Cosi, fondata nella musica, la tragedia – espressione delle pulsioni artistiche apollinee e dionisiache, unioni dell’apparenza e dell’essenza, la rappresentazione e la volontà, dell’illusione e della verità –, è l’attività che da accesso alle questioni fondamentali dell’esistenza.

III La morte dell’arte tragica

La seconda idea importante di La nascita della tragedia è la denuncia della morte dell’arte tragica provocata da Euripide[20]. Differentemente dalle altre forme artistiche, che hanno una morte naturale, la tragedia greca avrebbe la morte per suicidio[21]. Suicidio che, secondo Nietzsche, fu generato da due cause: dalla prevalenza, in Euripide, dell’uomo teorico, del pensatore razionale sull’artista, sul poeta[22]. Questo Euripide teorico è il critico di Eschilo, colui che ha visto nella tragedia del suo antecessore una precisione spaventosa, una profondità enigmatica, al di là di considerare contestabile la sua soluzione ai problemi etici, dubbiosa la sua utilizzazione dei miti, disuguale la ripartizione della felicità e dell’infelicità. Ma questo Euripide teorico e anche colui che, come giudice della sua stessa arte, fa della sua poesia l’eco del suo pensiero cosciente, rivalutando tutti gli elementi della tragedia: il linguaggio, i caratteri, la costruzione drammatica, il coro[23]. Un atteggiamento critico che lo conduce a escludere, con la musica, il componente dionisiaco della tragedia. Quello che Nietzsche chiama di «la tendenza di Euripide», è la ricostruzione della tragedia con un’arte, un’etica e una visione del mondo non-tragica[24]. Un miscuglio di «freddi pensieri paradossali e affetti ardenti»[25] che sacrificano tanto l’apollineo quanto il dionisiaco.
La seconda causa, o meglio ancora, la ragione principale, di quello che lui chiamò il suicidio della tragedia è il socratismo di Euripide, arma con cui lui ha «combattuto e vinto la tragedia eschiliana»[26]; perché, per Nietzsche, Euripide fu «appena una maschera nel senso in cui chi parlava per lui non era Apollo né Dioniso, ma Socrate»[27], il prototipo del uomo teorico, colui che incontra soddisfazione soltanto, quando strappa il velo dell’apparenza, colui che crede sia possibile penetrare nel fondo delle cose, separando la conoscenza vera da quella apparente. Se Nietzsche critica l’estetica razionalistica socratica o il «socratismo estetico»[28] come principio mortale che ha distrutto la tragedia, è per aver introdotto nell’arte la logica, la teoria, il concetto, subordinando il poeta al teorico, la bellezza alla ragione.
L’essenza del socratismo estetico può essere riassunto nella seguente formula: «per essere bello tutto deve essere intelligibile»[29] o «per essere bello tutto deve essere cosciente»[30]. Principio estetico parallelo al principio etico socratico: «solo colui che sa è virtuoso»[31] o «per poter essere buono tutto deve essere cosciente»[32]. Concezione che avrebbe portato a considerare la tragedia come qualcosa di irrazionale cioè, un compromesso di causa senza effetti e di effetti senza causa, e a svalutare il poeta tragico per il fatto che non abbia coscienza di quello che fa, e di non presentare chiaramente il suo sapere. Questo atteggiamento svaluta totalmente una saggezza istintiva o incoscia, facendo pensare che, non avendo coscienza di quello che faceva, Eschilo non creava nulla di giusto, nulla di certo. Quindi, se il criterio diventa il grado di chiarezza del sapere o la coscienza teorica dell’artista, l’arte tragica, che esprime un sapere incosciente, sarebbe, automaticamente, squalificata.
Cosi, il socratismo estetico o la tendenza socratica fu, per Nietzsche, il responsabile principale della morte della tragedia o della scomparsa del suo sapere tragico. Perché, mentre la metafisica del artista tragico – nella quale l’esperienza della verità dionisiaca si fa indissolubilmente legata alla bella apparenza apollinea –, è capace, con la sua musica e con il suo mito, di giustificare l’esistenza del peggiore dei mondi, trasfigurandolo; la metafisica razionale socratica, creatrice dello spirito scientifico, è incapace di espressare il mondo nella sua tragicità – a causa della prevalenza che dà alla verità in favore dell’illusione e della credenza di che sia capace di guarire la piaga dell’esistenza.

IV La rinascita della tragedia

La terza idea importante del libro, è l’intento di trovare la rinascita della tragedia, o della concezione tragica del mondo, in alcune manifestazioni culturali della modernità. Da una parte, la musica di Wagner, grande motivatore e inspiratore delle sue analisi – a chi il libro è dedicato –, e in chi Nietzsche vede il ritorno dell’arte dell’Antichità[33], o, più precisamente, il ritorno del sentimento tragico del mondo; dall’atra, la filosofia di Schopenhauer[34], che avrebbe germogliato dalla stessa fonte dionisiaca che la musica e l’annullamento o ottimismo socratico.
La nascita della tragedia – che fa riferimento ai greci come «nostre luminose guide»[35] –, dà continuità al progetto de Winckelmann, Goethe e Schiller di pensare come deve essere l’opera d’arte moderna partendo della riflessione sull’arte greca[36]. Tuttavia, negando che i greci fossero esclusivamente o essenzialmente apollinei, Nietzsche relazionerà la serenità apollinea con un aspetto più profondo della Grecia, il dionisiaco, che non fu pensato dei pensatori che lo precedettero[37]. Infatti, lui ritiene che gli altri che lo precederono «non sono riusciti ad aprire la porta magica che da accesso alla montagna seducente dell’ellenismo»[38] perché non usarono la buona chiave per questo: la musica, o meglio ancora, la tragedia musicale.
L’originalità di Nietzsche non è propriamente la sua concezione della musica. La sua originalità fu, inspirata dalla concezione schopenhaueriana delle arti, valorizzare la musica per pensare l’arte greca come un’arte fondamentalmente musicale, o come avendo origine nello spirito della musica[39], articolando Schopenhauer con il movimento di utilizzazione della Grecia come modello per pensare la cultura tedesca, per mezzo del rinascimento dello spirito tragico. E l’idea che ha possibilitato questo fu, senza dubbio, l’idea wagneriana di dramma musicale.
Questo significa, per Nietzsche che l’opera d’arte moderna può essere solo il segno della rinascita dell’arte apollineo-dionisiaca della tragedia[40]. Pero significa anche la rinascita dei miti germanici che, secondo La nascita della tragedia, conservano lo spirito tedesco «intoccato, nella sua splendida salute, profondità e forza dionisiaca»[41]. Cosi, la rinascita dello spirito tragico greco, si vincola, in Nietzsche, alla rinascita del genio tedesco che, anche se abbia vissuto «al servizio dei perfidi nani»[42], nel più profondo di se stesso, si conserva intatto, con tutta la sua forza dionisiaca. Come se lo spirito tragico, esistente nella Grecia presocratica, invece di essere stato annullato dallo spirito socratico, pur restando represso, si fosse conservato nella profondità addormentata dello spirito tedesco[43]. Continuità tra il mito tragico greco e il mito tedesco, l’opera fa della nascita di un’era tragica dello spirito tedesco appena un ritorno a lui stesso, una beatitudine ritrovarsi a se stesso, dopo di che, per lungo tempo, immensi poteri conquistatori, venuti dal di fuori, li ridussero alla schiavitù[44].

III – Conclusione

Se La nascita della tragedia è un libro profondamente tedesco, parlando di «problema tedesco», «speranze tedesche», «genio tedesco», «spirito tedesco», «essere tedesco», è a causa dell’importanza che dà alla musica o, all’idea di che la musica sia la forza della quale Nietzsche parte per fare la sua critica alla cultura tedesca.
Il legame tra la rinascita tedesca dell’Antichità greca e la musica tedesca, considerata come una condizione essenziale dello svegliarsi dello spirito dionisiaco, è cosi importante nella Nascita della tragedia che appare non solo nell’interpretazione di Bach, Beethoven e Wagner[45] come tappe dello svegliarsi delle profondità dello spirito tedesco, ma, anche, nel curioso elogio al «coro di Lutero, come primo richiamo dionisiaco»[46]. Cosi, La nascita della tragedia stabilisce l’origine musicale della tragedia greca, e la sua importanza come una metafisica di artista, soprattutto per legittimare l’arte wagneriana, suggerendo che la rinascita dello spirito dionisiaco ne ha come una sua forte espressione il dramma wagneriano.
Nel suo Intento di autocritica, Nietzsche attribuisce al suo libro l’aggettivo di problematico, e concludendo che sia un libro impossibile, perché «scritto male, pesante, penoso, frenetico e confuso nelle immagini, sentimentale, qui e li, zuccherato fino al femminile, disuguale nel tempo (ritmo), senza volontà di pulizia logica e molto convinto […]»[47]. Tuttavia, è soltanto un intento di autocritica già che, nello stesso prefazio, evoca la validità della predica in tutto quello che riguarda al dionisiaco. E lo fa evocando il linguaggio dionisiaco di Zarathustra, polemizzando con i romantici, citando letteralmente l’opera, dimostrando il genio percussore presente nel suo La nascita della tragedia
«Voi dovete imparare prima l’arte della consolazione del al di qua, voi dovete imparare a ridere, miei giovani amici, de tuttavia desiderate rimanere nel completo pessimismo; forse, in conseguenza di questo, come ridenti manderete un giorno al diavolo tutta la “consolatrici metafisica” […]. O per dirlo con quella apparizione fantastica dionisiaca, che si chiama Zaratustra: […] “Alzate in vostro cuore, o miei fratelli, alto, più alto! E non vi dimenticate tampoco le vostre gambe […]. Questa corona del ridente, questa corona, ghirlande di rose, io stesso mi sono messo questa corona sul mio capo, io stesso dichiaro santo il mio riso. Non ho incontrato nessun altro, abbastanza forte per questo, oggi” (Cosi parlò Zarathustra, quarta parte)»[48].
A titolo di sintesi si può affermare che, fu intento di Nietzsche, in questo libro: presentare la doppia radice dell’arte – l’apollinea e la dionisiaca –; far vedere come le passioni profonde di entusiasmo panteista si sparsero nella Grecia, venute dall’Oriente, e come i greci riuscirono, grazie all’arte, a dare forma e trasfigurare questa minaccia; dimostrare che i greci hanno fatto sorgere dalla musica l’immagine analoga del mito tragico, facendo con che Dioniso e Apollo si tendessero le mani; dimostrare come la sapienza dionisiaca della tragedia si esprime in un linguaggio superiore a quella della ragione, e che, con Socrate, la compressione mitica del mondo scompare, quando la logica, diventa la dea suprema della scienza; infine, fare un invito ad avere, un’altra volta, la speranza, poi, nella nobiltà dell’arte, o ancora più precisamente, nella musica tedesca vive, ancora oggi, la capacità di guardare il mondo nella sua totalità; perché la musica, secondo lui, è l’unica forza capace di esprimere il dionisiaco presente nel mondo.

IV – Bibliografia

Nietzsche, F., O nascimento da tragédia ou Helenismo e Pessimismo, introdução, notas e posfácio de J. Guinsburg, Companhia das letras, São Paulo, 20004.
Nietzsche, F.,  Cosi parlò Zarathustra: un libro per tutti e per nessuno, introdução, Versione e appendici di M. Montanari, nota introduttiva di G. Colli, Adelphi, Milano, 200620.
Zoppetti, A., Il dio Pan ha un aspetto simile a quello di Satiri e Sileni, in: http://www.linguaggioglobale.com/mostri/txt/180.htm).



[1] Da qui in avanti, nelle note a pie di pagina, NT.
[2] Cf.  NT, 13-23.
[3] Cf.  NT, 25-26.
[4] Cf.  «Intento di autocritica» in, NT, 18-20; NT, 27-30.
[5] Cf.  NT, 30, 40.
[6] Cf.  NT, 28-30.
[7] Cf.  NT, 28-29.
[8] Cortei orgiastici di donne che, in estasi collettivo, danzando, cantando e toccando tamburi in onore di Dioniso, di notte, nelle montagne, invadirono la Grecia, venendo dall’Asia (Cf. www.miti3000.it/mito/
Biblio/euripide/baccanti.htm).
[9] NT, 31.
[10] Cf. NT, 31.
[11] Ibid.
[12] «Satiri e Sileni sono divinità greche, figlie delle cinque nipoti di Foroneo, personaggio analogo a Prometeo, cui sono attribuite la fondazione della prima comunità umana, la scoperta del fuoco e quella della metallurgia. Entrambi, insieme alle Ninfe e alle Menadi, facevano parte del corteo di Dioniso. I Satiri rappresentavano le potenze vitali della natura in tutta la loro pienezza, erano demoni dei boschi e dei monti, dove trascorrevano il loro tempo nella massima dissolutezza, cantando, ballando e inseguendo le Ninfe. I Sileni, di origine asiatica, erano invece le divinità dei fiumi e delle sorgenti» (A. Zoppetti, Il dio Pan ha un aspetto simile a quello di Satiri e Sileni, in: http://www.linguaggioglobale.com/mostri/txt
/180.htm).
[13] Cf. NT, 34-35, 44, 51-52..
[14] Cf. NT, 46.
[15] Cf. NT, 55.
[16] Cf. NT, 27, 30
[17] Cf. NT, 48-51.
[18] NT, 60.
[19] Cf. NT, 61.
[20] Cf. NT, 73.
[21] Cf. NT, 71.
[22] Cf. NT, 77.
[23] Cf. NT, 77-78.
[24] Cf. NT, 78.
[25] NT, 79.
[26] Ibid.
[27] NT, 79.
[28] NT, 81.
[29] Ibid.
[30] NT, 83.
[31] NT, 81.
[32] NT, 83.
[33] Cf. NT, 118; «La nascita della tragedia partendo dallo spirito della musica: prefazio a Richard Wagner», in: NT, 25-26.
[34] Cf. NT, 119.
[35] Cf. NT, 136.
[36] Cf. NT, 120
[37] Cf. NT, 121.
[38] NT, 122.
[39] Ibid.
[40] Cf. NT, 123.
[41] NT, 142.
[42] Ibid.
[43] NT, 142.
[44] Cf. NT, 138.
[45] Cf. NT, 118.
[46] NT, 136.
[47] NT, 115-16.
[48] Cf.  NT, 23.

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