I – Introduzione
Nella
Prefazione dell’Antropologia pragmatica, l’antropologia, che Kant chiama di dottrina
della conoscenza dell’uomo[1],
viene posta come oggetto di studio da due prospettive: fisiologia e pragmatica.
L’approccio fisiologico determina quello che la natura fa dell’uomo;
l’approccio pragmatico, invece, determina ciò «che l’uomo, come essere libero, fa o può fare di se stesso»[2], e
questa visione viene riflessa nella Prima parte del libro, chiamata Didattica antropologica del modo di
conoscere l’interno e l’esterno dell’uomo. In questa stessa parte, nel
Libro II, Kant introduce il discorso sul bello e sul sublime, l’oggetto di
questo lavoro; però, in un’altra opera: Osservazioni
sul sentimento del bello e del sublime[3].
Pubblicata
in 1764, l’OSBS appartiene all’elenco
di quelle opere chiamate precritiche e ha in comune con l’AP, opera della maturità kantiana – l’ultima in ordine di tempo, 1798
–, lo stile detto, popolare. Popolare per il fatto che sono di più facile
intelligibilità[4]. L’altro aspetto che li
accomunano è il desiderio di stabilire un modello per esaminare il sentimento,
tanto nei suoi propri termini, quanto in quello che riguarda l’opposizione tra
filosofia teoretica e pratica[5]. Lo
scopo del lavoro è individuare questo modello nell’Opera precritica –
fondandolo nel sentimento del bello e del sublime –, e vedere come questo
modello viene inserito nell’Antropologia pragmatica,
quello che sarà fatto nella Conclusione, a titolo meramente indicativo.
II – Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime
L’OSBS conserva la seguente divisione: Capitolo
primo – Sui differenti oggetti del sentimento del bello e del sublime –; Capitolo
secondo – Sulle qualità del sublime del sublime e del bello nell’uomo in
generale –; Capitolo terzo – Sulla distinzione fra il sublime e il bello nel
rapporto tra i due sessi –; Capitolo quanto – Sui caratteri nazionali in quanto
si fondano sul diverso sentimento del sublime e del bello. All’inizio dell’operetta,
nel Primo capitolo, kant identifica le differenze tra gli oggetti del
sentimento del bello e del sublime, e, sin dal principio, sottolinea che, quanto
scritto, è, soprattutto, frutto dell’osservazione, più di quanto sia, della sua
speculazione filosofica[6].
Prima
di identificare gli oggetti, radica il fondamento delle diverse sensazioni –
piacere e dispiacere –, non tanto nella natura delle cose esteriori che le
producano ma, nella soggettività di ogni persona[7];
cioè, la fonda «sull’attitudine
connaturale in ogni uomo di riceverne soddisfazione o insoddisfazione»[8]. Il
senso latente di questi sentimenti, afferma Kant, è proprio l’inclinazione
dell’uomo stesso verso la felicità, la ricerca di soddisfazione del piacere; constatazione motivatrice dell’esistenza
dell’operetta. Infatti, ragiona Kant, offrendo all’uomo un intenso piacere,
senza maggiori sforzi, questi sentimenti non possono essere considerati come
irrilevanti.
«Individui ben pasciuti, per cui l‘autore più geniale è
il loro cuoco e le cui dimostrazioni di gusto raffinato si trovano nella loro
cantina, proveranno, per una grossolana sconcezza o scherzo triviale, un
godimento non diverso da quello di cui va orgogliosa una persona di elevato
sentire. Un uomo pigro, che trova piacere nell’ascoltare una lettura ad alta
voce perché gli concilia in sonno; […] tutti costoro hanno un sentimento che li
rende incline a godere questi piaceri come loro aggrada, senza provar invidia
per i piaceri altrui […]»[9].
Tuttavia,
conclude: «[…], ma ad essi non rivolgo
per ora la mia attenzione»[10]. Tampoco verserà su un
altro genere di sentimento: «l’inclinazione
che si basa su un’intelligenza di vasto respiro, l’ebbrezza intellettuale di
cui era capace un Keplero se […] non avrebbe venduta una delle sue invenzioni
neppure per un principato»[11]. L’opera pretende esporre e
esaminare esclusivamente le forme di sensibilità di cui sono capaci anche anime
più comuni. Questo sentimento di mezzo può essere definito come,
«un sentimento di qualità superiore […] o perché è
possibile goderne senza provare sazietà o stanchezza, oppure perché presuppone,
per cosi dire, una sensibilità dell’anima che le consente di provare commozioni
virtuose; o anche perché denota dei talenti o un’inteletto pregevole […]»[12].
Infine,
le due disposizioni – i sentimenti del bello e il sublime – considerati
usualmente dal punto di vista estetico, saranno considerate, da lui, anche,
dalla portata etico-sociale, sarà un salto, dalla dimensione contemplativa,
teoretica, alla dimensione antropologica, pratica, in sintonia con gli antichi
greci, che li vedevano come oggetto di soddisfazione e di azione. Secondo Morpurgo-Tagliabue,
gli antichi «non lo si cercava nelle cose
di natura o di arte, ma negli uomini e nelle loro disposizioni; e anche in
questo caso non in disposizioni naturali ma pragmatiche»[13].
A. la distinzione tra bello e sublime
Kant
si riferisce sia al bello che al sublime come a due specie di questo stesso
sentimento raffinato che l’uomo prova nell’anima, «ambedue provocano nell’animo una deliziosa commozione, ma in modo
completamente diverso»[14].
Davanti al bello l’uomo si sente attratto, incantato; davanti al sublime,
commosso. Il bello genera sensazioni deliziose, di serenità, liete e aperte al
sorriso; il sublime, piacere misto a terrore, cioè: o spavento, o ammirazione o
stupore.
Quando
prova questi sentimenti, l’uomo reagisce differentemente, a seconda del
sentimento che prova. L’uomo in preda al sentimento di sublimità «è serio, a volte, immoto e attonito»[15]; in
preda alla bellezza, sereno, presentando «occhi
luminosi, con tratti ridenti, e spesso anche, con espansiva allegria»[16].
Tuttavia, il sublime si può presentare in forme diverse: Terrifico, perché si
fa accompagnare a sensazioni di terrore e anche di malinconia; Nobile, perché
si fa accompagnare a pacata ammirazione; e, Solenne perché si fa accompagnare a
bellezza che si irradia con intensità sublime[17].
Mentre
il sublime commuove, il bello attrae; mentre il sublime deve essere grande,
semplice, il bello può essere piccolo, adornato e abbellito[18]. Con
l’esempio che segue, Kant dà un’immagine plastica:
«La vista di una piramide egiziana commuove, come riferisce
Hasselquist, molto più di quanto possiamo figurarci attraverso tutte le descrizioni,
ma la struttura è semplice e nobile. La Basilica di San Pietro a Roma è fastosa, perché
su questa pianta architettonica, grande e semplice, è profusa tanta bellezza di
ornamenti, come ori, mosaici ecc. da destare una grandiosa sensazione di
sublime, derivante della suntuosità dell’opera. Un arsenale deve essere nobile
e semplice, un castello di residenza sfarzoso, una palazzina bella è aggraziata»[19].
L’inteletto
è sublime, come sublime è anche l’austera veridicità, la generosa abnegazione, l’amicizia,
la tragedia con la sua nobile tristezza e la sua malinconia. Il bello, invece,
è ingenioso come è bella è l’astuzia, l’amabile cortesia, come è bello l’eros e
la commedia, con i suoi intrighi e i lieti scioglimenti[20].
Il
sentimento del bello e del sublime, a causa delle sue caratteristiche, hanno un’estensione
in quello che si riferisce alla nostra percezione della temporalità. Cosi,
«una durata indeterminata è sublime. Se essa appartiene
al passato è nobile; se essa è vista nella prospettiva di un incalcolabile
futuro, ha in se qualcosa di spaventoso. Un edificio è reso venerabile dalla
sua remota antichità. La descrizione di Haller della eternità futura ci inspira
un quieto orrore, quella della eternità passata un’attonita meraviglia»[21].
Kant
attribuisce al sublime l’intelligenza, l’ardimento, la sincerità, lo zelo
disinteressato; e al bello lo spirito arguto, la sottigliezza, il gusto dello
scherzo e la cortesia[22]; ma, in verità,
tutte queste distinzione servono solo di premessa, a modo di definizione, per i
capitoli successivi, che versano sulle qualità del sublime e del bello
nell’uomo in generale – Capitolo secondo, di carattere dimostrativo –; sulla
distinzione fra il sublime e il bello nel rapporto tra i due sessi – Capitolo terzo,
di conferme o deviazioni – e, sui caratteri nazionali in quanto si fondano sul
diverso sentimento del sublime e del bello – Capitolo quarto, di corollari.
B. la distinzione fra il sublime e il bello nel rapporto tra i due sessi
Nel
capitolo terzo, Kant cerca di fare la distinzione fra bello e sublime in
rapporto tra i due sessi. Anche qui si può intravedere la pragmática. Pur non
escludendo, contrassegna la bellezza al genere femminile e la sublimità al
maschile[23]. Nelle donne, i pregi di
uomo congiungono per esaltare al massimo il bello (e, viceversa in quello che
riguarda all’uomo)[24].
Riguardo
all’intelligenza, quella femminile è bella, quella maschile, in tutto che
riguarda alla sua caratterizzazione, «deve
essere» profonda[25]; è
dà le sue ragioni: «L’intelligenza bella
sceglie come proprio oggetto tutto quello che è strettamente legato ad un
sentire delicato e lascia le speculazioni astratte o le nozioni utili ma aride,
ad un’intelligenza attenta, solida, profonda»[26]. In
questo senso, prosegue: «La virtù della
donna è bella, dell’uomo, deve essere nobile»[27].
Riconoscendo
le devianze nell’assumere il suo proprio in tutto il relazionato al rapporto
sesso/sentimenti, Kant finisce con un giudizio:
«La cosa più
importante è che l’uomo diventi più perfetto come uomo e la donna come donna: ciò
significa che la forza di attrazione tra i sessi deve operare in conformità
agli avvertimenti della natura e nobilitare ancor più l’uno e abbellire ancor
più le qualità dell’altra»[28].
C. la distinzione tra le nazioni secondo il diverso sentimento del bello e del sublime
Nel
quarto capitolo, conclusivo, si vede il risultato: la deduzione di quanto detto
nei capitoli precedenti. Partendo dall’osservazione, Kant elabora la seguente
divisione delle nazioni in quello che riguarda il rapporto trai il bello e il
sublime: il carattere nazionale degli italiani e dei francesi tendono verso il
bello; mentre quelli dei tedeschi, spagnoli e inglesi tendono al sublime[29]. La divisione
dei caratteri nazionali viene confermata dal genio proprio di ogni nazione:
l’italiana, dove si è sviluppata meglio la musica, la pittura, l’architettura e
la scultura; la nazione francese è analoga a quella italiana, con la differenza
di che è meno commovente. Della nazione inglese, dice lui, si deve sottolineare
l’inclinazione al pensiero profondo, alla tragedia e all’epica; la nazione
tedesca, a cui viene attribuita il genio della nobiltà e quella olandese, dove
risalta il gusto per un ordine metticuloso e per la minuta graziosità[30].
D. le qualità del bello e sublime nell’uomo in generale
Dal
secondo capitolo in poi, si vede delineare i tratti di un’antropologia, se cosi
possiamo chiamare, morale, fondata sull’osservazione fenomenologica – o, ancora
meglio, sui temperamenti umorali –, alle volte, molto descrittiva. Il richiamo
agli umori servono, qui, a dare una sorta di classificazione in base agli
effetti osservati. Ugualmente, nel Quarto capitolo – sui caratteri nazionali in
quanto si fondano sul diverso sentimento del sublime e del bello – Kant aggiunge
una nota e afferma che
«la mia intenzione non è certo quella di ritirare
minuziosamente i caratteri delle nazioni, ma di abbozzare soltanto alcuni tratti
che in essi esprimono il sentimento del sublime e del bello. Si può facilmente
arguire che da un disegno siffatto ci si possa aspettare solo una passabile
esattezza, dato che i tipi esemplari proposti risaltano soltanto considerando
complessivamente e in termini generali anche coloro che aspirano ad un più fine
sentire e che questo non manca ai caratteri di nessuna nazione che vogliano
unire le più eccellenti qualità di questo tipo. […] Se queste differenze
nazionali siano accidentali o dipendano dalle epoche o dalle forme di governo o
siano necessariamente condizionate dal clima, non sto qui ad indagare»[31].
Kant
classifica i temperamenti in quattro gruppi: sanguigno, melanconico, collerico
e flemmatico. Il temperamento sanguigno è incline al bello sia in quanto è
sensibile a scelte piacevoli sia in quanto produttore di effetti piacevoli;
però, è più indulgente che giusto, più disposto a transigere, istintivo[32]; e, il suo
opposto è il temperamento melanconico, in cui sentimento dominante è
l’apprezzamento costante per ciò che gli appare elevato; ed, elevato ai suoi
occhi non è l’individuo ma l’umanità, e, per questo, Kant afferma che, «la virtù autentica, secondo principi, ha
dunque in sé qualcosa che sembra accordarsi al massimo grado con un
temperamento melanconico, anche se in forma raddolcita»[33]. Raddolcita
perché le persone di questo temperamento, severe con sé stesse e con gli altri,
possono cadere «nell’ostinazione e nel
fanatismo: per giustizia può diventare giustiziere, farsi vendicativo, o il suo
rigore voltarsi in stravaganza»[34].
Da
parte sua, il temperamento collerico agisce in prevalenza per principi – come
il melanconico –, ma i suoi principi sono quelli particolari: «sono le massime sociali dell’onore, non le
leggi umane della virtù […] possiede un certo senso dell’elevazione, ma solo
quello della magnificenza, della pompa, della apparenza»[35]. Già il
flemmatico non viene approfondito da Kant, perché ritiene ininfluente nei
riguardi del bello e del sublime, cioè «siccome
nella mistura che forma il temperamento flemmatico sono piuttosto esigui gli
ingredienti del sublime o del bello, questa qualità dell’animo non rientra nel
nostro campo di osservazione»[36].
III – Conclusione
Come
appena visto, nell’OSBS, Kant offre
un’analisi empiricamente orientata del sentimento attraverso alcune riflessioni
su esempi organizzati in funzione del bello e del sublime. La propensione
antropologica di questo testo viene ampliata nell’AP, in particolare nel Libro secondo – Del sentimento del piacere e dello dispiacere –, il quale fa di
transizione dal Libro primo – Della
facoltà di conoscere –, al Libro terzo – Dalla facoltà di desiderare, dove kant caratterizza il sentimento
in termine di una transizione tra la filosofia teoretica e pratica, usando il
quadro dei temperamenti come intermediario di una prospettiva etica.
Può essere
detto che la sua antropologia, in OSBS,
è significativa perché introduce a un profilo di comportamento morale, che avrà
un orientamento più chiaro nell’AP,
quando Kant chiarirà che il gusto ideale ha una tendenza a promuovere dal lato
esteriore la moralità, «perché sbocca
nella partecipazione del proprio sentimento di piacere o di dispiacere agli
altri»[37].
IV – Bibliografia
E. Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, introduzione
di Guido Morpurgo-tagliabue, RCS, Milano, 20067.
_______, Antropologia pragmatica, traduzione di
Giovanni Vidari, Laterza, Roma-Bari, 20065.
_______, Enciclopedia filosofica, RCS-Bompiani, Milano, 2003.
C. Caygill, Dicionário
Kant, Zahar, Rio de Janeiro, 2000.
[1] Cf. E. Kant,
Antropologia pragmatica, traduzione
di Giovanni Vidari, Laterza, Roma-Bari, 20065, 3.
[2] Ibid.
[3] E. Kant,
Osservazioni sul sentimento del bello e
del sublime, introduzione di Guido Morpurgo-tagliabue, RCS, Milano, 20067.
[4] Cf. G.
Morpurgo-Tagliabue in, OSBS,
5-7; G. Vidari in, AP, V-VI.
[5] Cf. C.
Caygill, «sentimento», Dicionário
Kant, Zahar, Rio de Janeiro, 2000, 288.
[6] Cf. OSBS,
79.
[7] «Nel Settecento due concezioni si contendevano il
campo, prevalendo poi nel corso del secolo l’una sull’altra. La prima è quella
di origine razionalistica platônica [...]. [In questa] Il bello è una dote
oggettiva del creato colta dalla nostra ragione. La seconda concezione è quella
soggettiva ed empiristica delle sensazioni e dei sentimenti [...]; è la nozione
del bello come piacevole, come inclinazione e soddisfazione edonistica,
seduzione dei sensi, vitalità, festa, gaiezza, voluptas, capriccio [...]. Kant,
che era partito, sotto l’influenza wolffiana, dalla prima concezione, in
seguito, negli anni ’60, conosciuti gli autori inglesi, virò decisamente verso
la seconda» (G. Morpurgo-Tagliabue
in, OSBS, 13-15).
[8] OSBS,
79.
[9] OSBS,
79-80.
[10] OSBS,
80.
[11] Ibid..
[12] Ibid.
[13] G.
Morpurgo-Tagliabue, in, OSBS,
10.
[14] OSBS,
80.
[15] OSBS,
81.
[16] Ibid.
[17] Cf. OSBS,
81.
[18] Cf. OSBS,
80-83.
[19] OSBS,
82-83.
[20] Cf. G.
Morpurgo-Tagliabue, in, OSBS,
28-29.
[21] OSBS,
83.
[22] Cf. OSBS,
83.
[23] Cf. OSBS,
105.
[24] Ibid.
[25] Cf. OSBS,
106.
[26] OSBS,
107.
[27] OSBS,
109.
[28] OSBS,
122.
[29] Cf. OSBS,
123.
[30] Cf. OSBS,
124-125. Ugualmente, Kant identifica i caratteri spirituali delle nazioni
partendo dalle loro disposizioni morali. Cosi, allo spagnolo (duro, riservato,
leale, orgoglioso e spietato), italiano (ha un senso del bello più forte di
quanto lo abbiano gli spagnoli e più senso dei francesi), francesi (predomina
il sentimento della bellezza morale, affabile, gentile, piacevole, spiritoso),
inglesi (inizialmente sembra freddo e indifferente, poco incline a amicizie,
ma, in amicizia, sono persone date a fare grandi favori), tedeschi (mescolano
sublime e bello, sono più simili agli inglesi che ai francesi), olandesi
(ordinato e diligente, poco sensibile, si preoccupano soprattutto con l’utile).
Finalmente, Kant analiza i caratteri nazionali in quanto al senso dell’onore,
della religiosità, all’amore. Cf. OSBS,
125-129.
[31] OSBS,
123. Nell’Enciclopedia filosofica,
Kant ribadisce la validità dell’analogia dei tratti peculiari: «è vero che sono
in grado di effettuare osservazioni soltanto su me stesso, ma grazie
all’analogia dei tratti peculiari (e) alle consonanze, posso estendere ad
altri. Gli oggetti esterni posso conoscerli attraverso i dati fenomenici, altri
uomini invece soltanto per mezzo dell’analogia con me stesso» (E. Kant,
«psicologia empirica», Enciclopedia
filosofica, RCS, Milano, 2003, 195).
[32] Cf. OSBS,
97-98.
[33] OSBS,
94.
[34] G.
Morpurgo-Tagliabue, in, OSBS,
32.
[35] Ibid.
[36] OSBS,
100.
[37] Cf. AP,
133.
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