04 marzo, 2013

Lesperienza di Dio come oggetto dei sensi spirituali secondo Buonaventura



Con questo lavoro intendiamo esaminare – dalla prospettiva di san Buonaventura –, a cosa tendono i sensi spirituali, qual è il loro oggetto e il fine a cui sono protesi il loro esercizio. Come base teorica ci stano: le opere stesse di Buonaventura che la Disertatio ad Lauream di Fabio Massimo Tedoldi intitolata La dottrina dei cinque sensi spirituali in San Buonaventura, soprattutto il Capitolo ottavo – l’esperienza di Dio: oggetto dei sensi spirituali secondo san Buonaventura – che verrà presentato, sinteticamente, come lavoro conclusivo del seminario Antropologia e Conoscenza mistica.

 
 
In quello che riguarda alla dottrina dei sensi spirituali, buonaventuriana, uno degli aspetti basilari è quello della proporzionalità dei sensi spirituali a quelli corporali. I primi, attratti dalla realtà corporea, i secondi, indirizzati a percepire la presenza di Dio (Cfr. Tedoldi, la dottrina dei cinque sensi spirituali in San Buonaventura, 251, 261). Infatti, afferma Tedoldi che la prima cosa che troviamo negli scritti di Buonaventura è che i sensi spirituali si indirizzano respectu ipsius Dei; e cioè, a percepire la presenza di Dio (Cfr. Tedoldi, 261).

II – Percepire la presenza di Dio: dai segni alla realtà, nella comprenssione e nell’eccedenza

Percepire la presenza di Dio operando attraverso la grazia, mettendo la persona in grado di intraprendere un itinerario, con il quale, da principio fuori di se, poi in se, e quindi al di sopra di se, ci permetta di trovare Dio dappertutto (Cfr. Buonaventura, Itinerarium mentis in Deum, 1,4 [v, 297]). Questa realtà viene ressa possibile dal proprio senso spirituale, di percepire Dio, nella sua presenza; poiché sarebbe impossibile se lui stesso non si fosse fatto a noi percepibile presente (Cfr. Tedoldi, 262). Come spiega Buonaventura: «il Verbo Incarnato fonda il nostro itinerario per giungere a Dio» (Ibid.). E il paradosso è proprio qui, in questo Dio che non è sensibile, immaginabile, intelligibile, ma può essere raggiunto per grazia di Cristo, nel quale la divinità è unita all’umanità. Il Verbo infonde il noi, coscienza e amore per raggiungere Dio, dove l’amore e la conoscenza sono un’unica cosa (Cfr. Tedoldi, 250, 262).
Essendo presente in noi, l’occhio spirituale può vedere Dio nel mondo sensibile, ma può coglierlo anche nell’anima, dove abita, infatti (Cfr. Tedoldi, 262). Cosi che, questo Dio «che è fuori e dentro di noi, rendendosi conoscibile attraverso mirabili splendori, solleticandoci con tante voci […] ci richiama in continuazione a se» (Tedoldi, 263). Facendosi presente, questa Sapienza Divina, per essere raggiunta, conosciuta e degustata – secondo il Buonaventura –, deve corrispondere da parte dell’uomo, il cercare tutto ciò, unito alla gioia della scoperta, giacché la fonte del bello, armonioso, profumato, dolce e carezzevole, è assolutamente inesauribile (Cfr. Tedoldi, 263). Cosi, «l’anima, attraverso i sensi spirituali, nell’attingere la cognitio-fruitio nelle cose di Dio, si avvicina sempre più a conoscere ed amare Dio stesso» (Tedoldi, 263).
Questa necessità di un’itinerarium che diventa ricerca della presenza di Dio – secondo la dottrina del Dottore Serafico –, viene dato anche dal fatto che non può essere visto faccia a faccia (Cfr. Tedoldi, 263). Tutto questo fa nasce un itinerario nella ricerca della sua presenza.
Buonaventura afferma che – spiega Tedoldi –, il Cristo, con la sua incarnazione, ha impresso un valore di via alla realtà sensibile, proprio attraverso i sensi della grazia, in modo da poter passare, dalle cose, a ciò che esse significano (Cfr. Tedoldi, 264). Tuttavia, soltanto con i sensi spirituali è possibile cogliere la realtà; essi svelano Dio, che per rivelarsi a noi si è rivestito di sensibilità, rendendoci sensibili in modo particolare nella creatura umana (Cfr. Tedoldi, 265).
La discesa di Dio, per mezzo della incarnazione del suo Figlio, fonda l’incontro tra l’essere psico-corporeo dell’uomo e il Dio Incarnato. Quindi, l’uomo spiritualmente si trova diviso da una parte da quella inominabile sensibilità, dall’altra con l’oggetto di conoscenza di Dio (Cfr. Tedoldi, 266). Per questo, l’essere, secondo Buonaventura, dovrà sperimentare due modalità complementari necessaria: la prima, Dio si lascia cogliere mediatamente; nel secondo modo, è l’uomo che deve uscire da se stesso per coglierlo (Cfr. Tedoldi, 266-267).
Per poter cogliere la presenza di Dio, viene caratterizzato il rapporto che l’uomo-microcrosmo sviluppa nei confronti del macrocosmo, il quale entra per la porta dei cinque sensi. Mentre la conoscenza in cui è preso, contraddistingue il rapporto diretto con Dio, in cui l’anima è soddisfatta nell’incontro dell’inesauribile ricerca divina, in cui l’unica possibilità di avere Dio e di essere giunta da Lui. Di qui le appropriazioni dei cinque sensi, la vista e l’udito come esercizi di conoscenza del soggetto conoscente, mentre, in maniera diversa, l’olfatto, il tatto, e il gusto caratterizzati da un tipo di conoscenza interiore, non concettuale e difficilmente esprimibile, prevengono naturalmente ad divino, riempiono l’anima da trasbordarne, magari rifluendo sul corpo (Cfr. Tedoldi, 267). In questo modo, l’anima sperimenta l’estasi, dove il concorso e l’attività di tutti i sensi spirituali è evidente.

III – Il desiderium prepara, l’affectus dilata i sensi nel godimento contemplativo

Il massimo dell’attività del sensorio spirituale viene raggiunta nella contemplazione. Tuttavia, i sensi spirituali sono attivi già nel momento previo alla contemplazione, la dove la veemenza del desiderio unifica la persona in un unico respiro anelante (Cfr. Tedoldi, 268-269). Nel Breviloquium, Buonaventura afferma che la contemplazione si realizza proprio grazie ai sensi spirituali (Cfr. Buonaventura, Breviloquium, 5,6 [v, 259b]). «Nel graduale cammino di ascesa verso Dio, il loro esercizio custodisce, conferma e rafforza l’anima contemplante» (Tedoldi, 269).
«In merito al desiderio, dobbiamo rilevare che il suo ruolo, nella tentazione contemplativa è di decisiva importanza per Buonaventura, al punto che non ci può essere contemplazione senza desiderio […] È [quindi] il respiro del desiderio che misura avanzamento nel cammino della santità. Del resto, desiderare, è una speciale forma di amore» (Tedoldi, 270).
L’affetto viene configurato non sono entro il dominio dell’appetiva, ma anche nella reale funzione conoscitiva (Cfr. Tedoldi, 271). Buonaventura fa l’abbinamento tra i sensi spirituali e le vires,
«congiungendo all’affectus l’odorato, il gusto e il tatto, le cui possibilità conoscitive sono intrinsecamente congiunte al loro appetitus […] Chiediamoci [invita Tedoldi] come mai il tatto, senso più affettivo, sia anche il più perfetto e il più spirituale nell’ambito della conoscenza di Dio […]. La ragione, per Buonaventura, risiede proprio nella virtù unitiva, che il conoscente rimane talmente ‘affectato’ dall’oggetto conosciuto, Dio, da formare una cosa sola con lui. I sensi spirituali, in questa mistica ascesa, pian piano che raggiungano la pienezza della loro percezione lasciano proseguire quelli più affettivi» (Tedoldi, 272).
Infatti è tanto più fruttuoso, quanto più l’affetto è vicino, cosi, la vista e l’udito, ad un certo punto, consegnano il ‘testimone’ agli altri tre, e tra questi è il tatto che più di ogni altro, viene trasferito e trasformato da Dio (Cfr. Tedoldi, 273). Nel massimo delle sue possibilità, l’affetto sprigiona tutta la sua forza unitiva, e la coesione che ne consegue è una propria e vera trasformazione: suo «l’amante trasformato nell’amato nel momento in cui gli è congiunto, tramite ‘l’affectum’» (Buonaventura, In dom. 14 post Pent., ser. 1 [IX, 407b-408a] in Tedoldi, 275). Tale trasformazione li rende talmente inseparabili da divenire una cosa sola.
«In conclusione l’affectus è strettamente legato ai sensi spirituali nel dinamismo ascensionale che si indirizza verso la contemplazione. La forza affettiva, infatti, determina un moto propulsivo che s’indirizza velocemente verso Dio: anzi, il passaggio che riamane chiuso ai sensi ‘cognitivi’ è aperto ai sensi affettivi; la ‘vis afectiva’, inoltre, realizza una dilatazione dei sensori capace di attingere alla conoscenza, diventando amore» (Tedoldi, 276).
A questo punto l’affetto, altro non è che l’amore nella sua valenza più spirituale (Cfr. Tedoldi, 277). Oltre a preparare l’uomo alla contemplazione, i sensi spirituali entrano nel vivo del incontro fluitivo con Dio, assaporato proprio da essi, facendo scaturire un vero e proprio piacere, frutto dell’unione con Dio. Buonaventura descrive questo oblectamentum come godimento spirituale, analogo al piacere che provano i sensi del corpo unendosi all’oggetto conosciuto (Cfr. Tedoldi, 277). Per rendersi conto: la vista è immersa nella bellezza della luce; l’udito percepisce sperimentando la sua dolcissima voce; l’olfatto più attivo nel suspirare suavitates; il gusto intento a degustare delectiones, divina charismata; il tatto in quella perfezione tipica della passione d’amore (Cfr. Tedoldi, 277-278).

IV – Conclusione

Secondo san Buonaventura il corpo, sede del sensorio fisico, è il punto di partenza dei sensi spirituali; il punto d’arrivo e la contemplazione di Dio, anzi, soprattutto, la contemplazione di Cristo crocifisso e risorto (Cfr. Tedoldi, 330). Cosi, la dottrina dei sensi spirituali realizza la tensione contemplativa dell’uomo, e grazie ad essi, la contemplazione di Dio diviene la stessa cosa dell’unione con lui, poiché i sensi lo conoscono nel momento in cui lo raggiungono (Cfr. Tedoldi, 279, 330).

V – Bibliografia

Bonaventurae, D.S.S, Opera omnia, ad Claras Aquas, Quaracchi, coll. S. Buonaventurae, 1888-1902.
Massimo Tedoldi, F., La dottrina dei cinque sensi spirituali in San Buonaventura, Antonianum, Romae, 1999.

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