Introduzione
Filone[1]
é autore di numerosi scritti in greco, alcuni di carattere specificamente
filosofico, come quelli Sulla creazione
del mondo, Sulla provvidenza, ma
per la maggior parte dedicati all’esegesi biblica, fra i quali i principali
sono quelli che costituiscono un commento allegorico all’Antico Testamento.[2]
Particolare attenzione é prestata da Filone all’esegesi dei primi cinque libri
della Bibbia, il cosiddetto Pentateuco. Come dice Reale,
Si può considerare il creatore, o comunque il vero e
proprio sistematore dei canoni dell'interpretazione allegorica della Bibbia.
Senza Filone non si comprenderebbe tutta una parte del pensiero dei Padri della
chiesa che si sono a lui ispirati in vario modo, pur accettandone solo il
metodo e non tutta una serie dì risultati legati alla cultura
giudaico-alessandrina che egli raggiunse con quel metodo (ricordo che ad
esempio S.
Ambrogio lo utilizza in ben 600 occasioni).[3]
Filone da un lato è pieno di venerazione verso le Sacre Scritture e in
primo luogo verso Mosè, che egli ritiene ispirato direttamente da Dio, dall’altro
parte è ammiratore dei filosofi greci e ritiene che la verità espressa da essi
sia quella stessa contenuta nei libri classici.
Filone ritiene che anche il testo letterale della Bibbia abbia un senso. Tuttavia
egli pensa che il senso letterale si collochi su un piano decisamente inferiore
rispetto a quello allegorico, ossia che resti alla superficie (per lo più nella
sua funzione prescrittiva, che intende indicare agli uomini quali debbono
essere i corretti comportamenti), mentre l'interpretazione allegorica giunge
all'anima[4].
A questa convinzione egli giunge interpretando allegoricamente[5]
le dottrine dell’Antico Testamento e additando ad esse i concetti della
filosofia greca. Il risultato è una sorta di platonismo molto vicina a quella
che si era venuta svolgendo in Alessandria e che si soleva riportare a Platone
ed a Pitagora.
Nella sua opera esegetica, Filone teorizza e applica sistematicamente il
metodo dell' integrazione allegorica, già usato nell' ambito della filosofia
greca, soprattutto da parte degli stoici a proposito di Omero. Esso si fonda
sulla distinzione tra due significati presenti nello scritto da interpretare :
la lettera e lo spirito. Quest' ultimo racchiude il significato più autentico.
Filone impiega tale metodo allo scopo di liberare la Scrittura da ogni
antropomorfismo per coglierne il vero senso, che manifesta profonde
corrispondenze con dottrine filosofiche greche. In questo modo, egli trova
enunciata nella Bibbia principalmente una dottrina dell' essenza di Dio, i cui
tratti salienti sono il monoteismo, l' unicità della divinità, e la
trascendenza. Dio é ineffabile, il linguaggio umano non dispone di nomi
adeguati per esprimerne l'essenza. I punti fondamentali della filosofia di
Filone sono tre:
1.
la trascendenza assoluta di Dio rispetto
a tutto ciò che l’uomo conosce;
2.
la dottrina del logos come intermediario tra Dio e L’uomo;
3.
il fine dell’uomo determinato come
unione con Dio.
Nella sua perfezione assoluta, Dio è tale che è impossibile conoscere la
sua natura. Anche l’uomo inspirato può vedere che egli è, non che cosa egli è.
A Dio appartengono le due potenze originarie, la bontà e il potere; per la
prima egli è propriamente Dio, per la seconda è il Signore. Tra queste due
potenze c’è la terza, conciliatrici di entrambe, la Sapienza, logos o verbo
di Dio, che è l’immagine più perfetta di Dio stesso. In questo lavoro, si
cercherà di vedere come Filone articola Filosofia, Scrittura e Sapienza;
mettendo in rilievo come viene adoperata la parola gnw/sij[6] nel
contesto delle sue opere. Tuttavia, bisogna ribadire che, nel De fuga, per riferirsi alla conoscenza Filone
usa queste seguenti parole, a dipendere del contesto: μαθηις, μανθάνειν,
έπιστήμη e, γνώσις.
Per ragioni metodologiche il paper
verrà sviluppato seguendo l’ordine cronologica di composizione delle opere
filoniane; esemplificato con alcuni brani del De fuga, dove l’argomento ad essere trattato appaia con maggiore
frequenza, permettendo dare una visione panoramica delle principali opere del filosofo ebreo.
De fuga et inventione
Tra i numerosi scritti esegetici di Filone, il De fuga si distingue per la sua ricchezza di contenuto. In
quest’opera l’autore ci invita, con la ricchezza allegorica che gli è
caratteristica, a immergere nella vita spirituale per mezzo della pratica
ascetica e mistica; a entrare in relazione con Dio; infatti, questa relazione
sarà il tema centrale del trattato.
Ordinato intorno al tema della fuga, il trattato racconta la storia della
salvezza da questa prospettiva: l’uomo cha si allontana da Dio quando si rende
conto della sua mancanza di fedeltà al Creatore, della sua miseria spirituale.
Ma, alla fine dell’opera il filosofo alessandrino racconta il ritorno dell’uomo
al cospetto di Dio, alle sue origini.
Alla base della riflessione filoniana sta il racconto della fuga della
schiava Agar, che appare nella Bibbia, nell’Antico Testamento, nel libro della
Genesi, e, che riprodurremo in seguito:
«Or Sarai, moglie di Abramo, non
gli aveva dato figli. Aveva una serva egiziana di nome Agar. 2 Sarai
disse ad Abramo: ‘Ecco, il SIGNORE mi ha fatta sterile; ti prego, va' dalla mia
serva; forse avrò figli da lei». E Abramo diede ascolto alla voce di Sarai. 3
Così, dopo dieci anni di residenza d' Abramo nel paese di Canaan, Sarai, moglie
d' Abramo, prese la sua serva Agar, l' Egiziana, e la diede per moglie ad
Abramo suo marito. 4 Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando
si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo. 5
Sarai disse ad Abramo: «L' offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la
mia serva in seno e, da quando si è accorta d' essere incinta, mi guarda con
disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te’. 6 Abramo rispose a
Sarai: ‘Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi’. Sarai la
trattò duramente e quella se ne fuggì da lei. 7 L' angelo del
SIGNORE la trovò presso una sorgente d' acqua, nel deserto, presso la sorgente
che è sulla via di Sur, 8 e le disse: ‘Agar, serva di Sarai, da dove
vieni e dove vai?» Lei rispose: ‘Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona». 9 L' angelo del
SIGNORE le disse: ‘Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano’. 10 L' angelo del
SIGNORE soggiunse: «Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si
potrà contare, tanto sarà numerosa». 11 L' angelo del SIGNORE le disse
ancora: «Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di
Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; 12 egli
sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e
la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». 13
Allora Agar diede al SIGNORE, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi,
perché disse: ‘Ho io, proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista’ 14
Perciò quel pozzo fu chiamato il pozzo di Lacai-Roi. Ecco, esso è tra Cades e
Bered. 15 Agar partorì un figlio ad Abramo. Al figlio che Agar gli
aveva partorito Abramo mise il nome d' Ismaele. 16 Abramo aveva
ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele».[7]
In quest’opera, l’uomo fa l’avanti e l’indietro nella scoperta – conoscenza
– delle sue miserie e della grandiosità di Dio. Qui, troveremo l’opportunità di
vedere come viene adoperata la parola gnosi
mentre verrà descritto questo movimento progressivo e regressivo dell’uomo.
1. La conoscenza del mondo sensibile e del mondo intelligibile
Contesto: §
44-47 – Conoscenza di se e esperienza
della vita sensibile
«‘Rimani laggiù, mio figlio, con lui’ disse lei, non per
tutta la tua vita, ma per ‘qualche tempo’ (Gen 27,44), voglio dire, apprendi a
conoscere[αίσθήσεων - Intendere il
senso] il dominio dei sensi, conosci ] a te stesso e le parti della tua persona [χώραν κατάμαθε];
apprendi [γνώσι] cos’è ognuna di queste, di ciò che è stata creata e come
è destinata ad agire; infine, apprendi quale è lo spirito invisibile, chi, in
modo invisibile, mette in movimento i burattini e tira le loro corde, che sia
lo spirito che è in te o lo spirito dell'universo».[8]
Contesto: § 56-61 – Il vero senso della vita
«E lei fondò il suo
ragionamento [έπιστοΰτο] su questi altri oracoli: ‘Vedi, io metto oggi
davanti a te la vita e il bene, la morte e il male’ (Deut 30,15). Di
conseguenza, o molto saggio[ώ πανσοΦε], il bene e la virtù sono la vita, il male e i vizzi
sono la morte. Ed è detto altrove: 'ama il SIGNORE, il tuo Dio,
ubbidisce alla sua voce e tieniti stretto a lui, poiché egli è la tua vita e
colui che prolunga i tuoi giorni’ (Deut 30,20). La definizione della vita
immortale è bellissima: è essere afferrato da un desiderio e da un amore di Dio
che non ha nulla di carnale e di corporale».[9]
In linea di continuità con 46 e 58, il numero 46, la motivazione immediata
dell’intervento di Rebecca, è in funzione delle minacce fatte Esaù a
Giacobbe. Il passaggio da un piano esegetico all'altro mediante l'allegoria
risulta essere coerente, in quanto sussiste una analogia fra mondo sensibile e
mondo intelligibile, fra il macrocosmo e l'uomo. A Filone interessa soprattutto
l'esegesi metafisica e quella morale.
Ciò che Filone cerca nella Genesi non è questa o quella verità filosofica,
ma la discrezione di tutti gli atteggiamenti e attitudini dell'anima in rapporto
a Dio: l'innocenza e il pentimento. Il metodo allegorico, in Filone è uno
strumento indispensabile della vita interiore.
La vita interiore si svolge così fra due poli opposti: quello della fiducia
nell'uomo in sé e quello della fiducia in Dio; ma solo attraverso il
riconoscimento della propria nullità l'uomo può giungere alla fede in Dio.
2. La conoscenza paralella allo sforzo morale
Contesto: § 54-55 – Gli omicidi e il vero significato della morte: La morte fisica e la
morte spirituale
«Mosè ha parlato con molta
precisione sulla fuga quando ha promulgato la legge su gli omicidi; in questa
lui a enumerato tutte le categorie di morte: la morte volontaria, la morte
involontaria, l’aggressione e la premeditazione. Dice la legge: ‘Chi
percuote un uomo che, a motivo di questo, muore, sarà messo a morte. Se però
non gli ha teso alcun agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io ti
assegnerò un luogo dove egli possa rifugiarsi. Se uno agisce con premeditazione
contro il suo prossimo per ucciderlo con inganno, tu lo strapperai anche dal
mio altare, per farlo morire’ (Es 21, 12-14)»[10].
«Di qua, in effetto,
l’uomo che muore perisce soltanto de la morte? Anch’io mi sono rivolto ad una
donna istruita [γυναϊκα σοΦήν] chiamata riflessione [σκεψις őνoμά], e mi sono tolto la preoccupazione: lei mi ha insegnato che alcuni
uomini sono morti dai loro vivi come altri sono vivi dopo la loro morte. I
cattivi, diceva lei, sono morti, anche se raggiungono l'estrema vecchiaia, dal
fatto che sono privati della vita combinata alla virtù, ma la gente onesta,
anche staccati della loro associazione con il corpo, vivono per sempre, essendo
immortali […]».[11]
In verità, secondo Filone, l’esegesi biblica deve essere fondata sulla
riflessione, in opposizione a quella fondata sull’inspirazione.[12] Questa
riflessione è capace di illuminare la compressione delle verità della
Scrittura. Lo sforzo riflessivo ha la capacità di arrivare alla comprensione
delle realtà divine espresse nelle Scritture e la conoscenza è parallela allo
sforzo morale.
3. La conoscenza del mondo conduce a quella di Dio
Contesto: § 207-213 – Al limite del santo e del
profano
«Ma, come, tu, anima, che
progrediva e approfondiva la conoscenza [dat. έπιστήμη] del ciclo dell’istruzione
preliminare[13],
non dovevi, mai, vedere l'autore di questa conoscenza [gen. έπιστήμης],
riflesso nello specchio che è la cultura? Inoltre, la situazione di tale pozzo
è completamente adeguata, ‘tra Cades e Bered’: Bered si traduce con ‘nei mali’, Cades per ‘santa’. Quello che
progredisce è, in effetti, al limite del santo e del profano: lui fugge del
male, ma non è ancora in grado di vivere con il bene perfetto».[14]
La conoscenza del mondo creato è come uno specchio nel quale possiamo
vedere il Creatore. Mosè, per esempio, desidera sorpassare questa forma di
conoscenza indiretta per poter contemplare Dio faccia a faccia: «Or
dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue
vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. Considera
che questa nazione è popolo tuo»[15].
Daniélou ha visto in questa immagine dello specchio, il riflesso del versetto
di Paolo nella prima lettera ai Corinzi, di Paolo: «Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora
vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente,
come anche sono stato perfettamente conosciuto».[16]
In verità, Dio è l’autore della conoscenza. Il ritorno di Agar, rappresenta
l’anima que progredisce: tendi verso il bene, la è soggetta al errore.
4. La conoscenza di se conduce a quella di Dio
Contesto: § 132-136 – Rapporto tra cause e risultato
«Per questi due uomini
anche sono pieno di ammirazione: uno si interroga sul mezzo termine tra gli
estremi e dici: ‘Ecco il fuoco e la legna; ma dov' è l' agnello per l'
olocausto? [Isacco]’. L’altro risponde: ‘Figlio mio, Dio stesso si provvederà
l' agnello per l'olocausto’. E lui stesso, più tarde, scopre la sostituzione: ‘Abraamo
alzò gli occhi, guardò, ed ecco dietro a sé un montone, impigliato per le corna
in un cespuglio. Abraamo andò, prese il montone e l' offerse in olocausto
invece di suo figlio’ (Gen 7,-8. 13)».[17]
Contesto: § 1-6 – I motivi della fuga
«Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei. L' angelo del
SIGNORE la trovò presso una sorgente d' acqua, nel deserto, presso la sorgente
che è sulla via di Sur, e le disse:
“Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?” Lei rispose: “Fuggo dalla
presenza di Sarai mia padrona”. L'
angelo del SIGNORE le disse: “Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua
mano”. L' angelo del SIGNORE soggiunse: “Io moltiplicherò grandemente la tua
discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa”. L' angelo del
SIGNORE le disse ancora: “Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui
metterai il nome di Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua
afflizione; egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà
contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i
suoi fratelli (Gen 16, 6b-12)» (De Fuga, 1)».[18]
Sia Isacco che Agar rappresentano il basso livello della conoscenza. Tanto
è cosi che Agar, rendendo conta della sua rusticità, cammino verso il pozzo,
fonte della conoscenza. Ma questa conoscenza è secondaria, fa riferimento alle
Istruzioni Preliminari, destinata ai bambini, non agli adulti. È una conoscenza
acquisita per via auditiva, non per la vista; è discorsiva, non intuitiva.
Abramo rappresenta l’uomo che pur non conoscendo Dio – cosa Dio è – sa che
Dio è, e, per questo si affida a Lui. L’angelo è il logos, che non’è che una immagine degradata della Causa Suprema; è
un’immagine offerta a coloro che non sono capaci di bere l’Essere, agli
imperfetti, ancora legati al mondo sensibile, ma che si orientano verso il
bene.
5. La conoscenza è indispensabile alla salvezza
Contesto: § 48-52 – Dalla vita sensibile alla saggezza
«Il suo padre lo guida
della stessa maniera […]. Lui ha detto: ‘Alzati, va' in Paddan-Aram, alla casa
di Bethuel, padre di tua madre, e prenditi di là in moglie una delle figlie di
Labano, fratello di tua madre.[…] Tu troverai nella dimora della saggezza [σοΦίας], un porto protetto e
calmo, qui sarai accolto senza tristezza al momento del tuo arrivo. Il nome
della saggezza indicato dagli oracoli è Betuel, che significa, in traduzione,
‘figlia di Dio’ […]».[19]
Giacobbe dovrà attraversare il fiume tormentoso della vita prima di
arrivare al porto e alla dimora della saggezza. In questo commento al brano
Filone ci fa vedere come la saggezza feconda e riempi l’anima. Ancora: nutrisce
l’anima; orienta il padre nello svolgere il suo ruolo. La sua natura femminile
rivela la sua dipendenza in relazione a Dio.
Conclusione
Come è stato visto, a Filone interessa soprattutto l'esegesi metafisica e
quella morale della Sacra Scrittura. Per quanto concerne la prima egli si
ispira a Platone; nella seconda raggiunge invece i momenti più significativi e
più nuovi. Nel suo De fuga, l’esegesi
allegorica prende una sua connotazione chiaramente morale.
Nel percorso fuga-pentimento-ritorno intrapreso dalla schiava Agar si fa
riflesso della vita interiore che si svolge così fra due poli opposti: quello
della fiducia nell'uomo in sé e quello della fiducia in Dio; ma solo attraverso
il riconoscimento della propria nullità l'uomo può giungere alla fede in Dio. Infatti,
è in rapporto con Dio che l’uomo scopre il suo vero talento e, ugualmente, la
sua nullità. La ricerca di Dio, già diceva Filone è desiderio de conoscenza,
desiderio esistente in ogni uomo; d’altra parte, è la conoscenza di Dio la vera
saggezza [sofi,a].[20]
Essendoci due tipi di intelletto, quello dell'universo, che è Dio e quello
proprio di ciascun uomo, colui che fugge dal proprio intelletto si rifugia in
quello universale (lascia il proprio intelletto chi riconosce che tutto ciò che
dipende dall'intelletto umano è di nessun valore e attribuisce ogni realtà a
Dio). Invece, colui che fugge Dio sostiene che Dio non è causa di nulla, ma che
è lui stesso la causa di tutte le realtà. Le altre forme di apparente saggezza
possono essere applicate ai mestieri puramente artigianali.[21]
Bibiografia
Abbagnano, N., Storia della filosofia I. il pensiero greco
e cristiano: dai Presocratici alla scuola di Chartres, editoriale
l’espresso, Bergamo, 2005.
Bhérier, E., Les idées philosophiques et religieuses
de Philon d’Alexandrie, paris, 19593.
Daniélou, J. Philon d’Alexandrie, Paris, 1958.
Montanari, F., Vocabolario della lingua Greca, Milano,
2006.
Reale, G., L'allegoria
del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/
rassegna /000702d.htm.
Rocci, L., Vocabolario greco-italiano, Dante Alighieri,
Milano, 1995.
[1] Nato fra il 30 e 20 a.C., Filone, noto anche
come Filone l'Ebreo, fu nel 40
d.C. a Roma come ambasciatore dei Giudei alessandrini presso l’imperatore
Caligola. Appartenente a una delle più ricche ed influenti famiglie della città
e forse fu il primo grande commentatore dei testi biblici da lui
conosciuti in traduzione greca.. Per la biografia e filosofia: Abbagnano, 34, 394-306, 398; http://it.wikipedia.org/wiki/Filone_
di_Alessandria; http://www.filosofico.net/filone.htm.
[2] «In genere, Filone interpreta i simboli biblici a quattro
livelli: 1) quello cosmologico, quando ricerca che cosa il simbolo biblico può
significare in rapporto alla comprensione del cosmo; 2) quello antropologico,
quando ricerca che cosa l'interpretazione biblica significhi in rapporto alla
costituzione e alla struttura ontologica dell'uomo; 3) quello metafisico quando
cerca dì scoprire ciò che si può ricavare dal simbolo biblico sul mondo
intelligibile; 4) infine a livello morale e teologico ricerca che cosa
indichino i simboli e le narrazioni bibliche in rapporto alla vita interiore e
alla storia dell'anima che cerca Dio»
(Reale, L'allegoria del peccato in: http://lgxserver.uniba.it/lei
/ rassegna/000702d.htm).
[5] «Cerchiamo di spiegare, innanzitutto, che cosa si intenda per
‘allegoria’ e anche per ‘simbolo’, termine e concetto strettamente connesso con
il precedente. Gadamer
ha dato una spiegazione eccellente dei due termini: "Sebbene allegoria e
simbolo appartengano a due sfere diverse, sono vicini non solo per la loro
comune struttura di rappresentazione di qualcosa mediante qualcos'altro ma
anche perché trovano per eccellenza la loro spiegazione nell'ambito religioso.
Il concetto di allegoria nasce dall'esistenza teologica di eliminare dalla
tradizione religiosa (originariamente questo si verifica per Omero) ciò che ha
un aspetto scandaloso, scoprendo al di sotto di esso verità valide. Accanto a
questo concetto retorico-ermeneutico di allegoria viene poi a porsi anche il
concetto di simbolo anzitutto per opera della trasformazione cristiana del
neoplatonismo. Lo Pseudo
Dionigi, proprio all'inizio della sua opera fonda la necessità di procedere
simbolicamente sull'incommensurabilità tra l'essere sensibile sovrasensibile di
Dio e il nostro spirito legato alla sensibilità. Il symbolon riceve in
tal modo una funzione anagogica; ci innalza alla conoscenza del divino, allo
stesso modo che il discorso allegorico ci conduce a un significato
"superiore". Il procedere allegorico dell'interpretazione e il
procedere simbolico della conoscenza sono necessari per la medesima ragione:
non è possibile conoscere il divino se non in base al sensibile".
Naturalmente, questo presuppone un preciso nesso strutturale fondativo fra il
"sensibile" e il "soprasensibile", ossia la concezione del
sensibile come immagine del soprasensibile. E questo è garantito in modo
particolare dalla metafisica platonica e dei Platonici. Gadamer fa riferimento
ai Neoplatonici Cristiani e in particolare allo Pseudo Dionigi Areopagita. Ma
le origini stanno proprio in Filone e nella sua reazione del pensiero
platonico, con cui si apre la stagione del Medioplatonismo, due secoli prima
della nascita del Neoplatonismo» (Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/000702d.htm).
[6] La
parola viene tradotta in italiano come: cognizione,conoscenza; scienza,
saggezza (Rocci, 396); Il conoscere,
conoscenza, nozione (Cf. Montanari, 452).
[20] Cf. De Fuga, 82; Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/
rassegna/ 000702d.htm.
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