03 marzo, 2013

«La conoscenza di Dio è la vera saggezza» gnw/sij in Filone di Alessandria



Introduzione


 
Filone[1] é autore di numerosi scritti in greco, alcuni di carattere specificamente filosofico, come quelli Sulla creazione del mondo, Sulla provvidenza, ma per la maggior parte dedicati all’esegesi biblica, fra i quali i principali sono quelli che costituiscono un commento allegorico all’Antico Testamento.[2] Particolare attenzione é prestata da Filone all’esegesi dei primi cinque libri della Bibbia, il cosiddetto Pentateuco. Come dice Reale,
Si può considerare il creatore, o comunque il vero e proprio sistematore dei canoni dell'interpretazione allegorica della Bibbia. Senza Filone non si comprenderebbe tutta una parte del pensiero dei Padri della chiesa che si sono a lui ispirati in vario modo, pur accettandone solo il metodo e non tutta una serie dì risultati legati alla cultura giudaico-alessandrina che egli raggiunse con quel metodo (ricordo che ad esempio S. Ambrogio lo utilizza in ben 600 occasioni).[3]
Filone da un lato è pieno di venerazione verso le Sacre Scritture e in primo luogo verso Mosè, che egli ritiene ispirato direttamente da Dio, dall’altro parte è ammiratore dei filosofi greci e ritiene che la verità espressa da essi sia quella stessa contenuta nei libri classici.
Filone ritiene che anche il testo letterale della Bibbia abbia un senso. Tuttavia egli pensa che il senso letterale si collochi su un piano decisamente inferiore rispetto a quello allegorico, ossia che resti alla superficie (per lo più nella sua funzione prescrittiva, che intende indicare agli uomini quali debbono essere i corretti comportamenti), mentre l'interpretazione allegorica giunge all'anima[4]. A questa convinzione egli giunge interpretando allegoricamente[5] le dottrine dell’Antico Testamento e additando ad esse i concetti della filosofia greca. Il risultato è una sorta di platonismo molto vicina a quella che si era venuta svolgendo in Alessandria e che si soleva riportare a Platone ed a Pitagora.
Nella sua opera esegetica, Filone teorizza e applica sistematicamente il metodo dell' integrazione allegorica, già usato nell' ambito della filosofia greca, soprattutto da parte degli stoici a proposito di Omero. Esso si fonda sulla distinzione tra due significati presenti nello scritto da interpretare : la lettera e lo spirito. Quest' ultimo racchiude il significato più autentico. Filone impiega tale metodo allo scopo di liberare la Scrittura da ogni antropomorfismo per coglierne il vero senso, che manifesta profonde corrispondenze con dottrine filosofiche greche. In questo modo, egli trova enunciata nella Bibbia principalmente una dottrina dell' essenza di Dio, i cui tratti salienti sono il monoteismo, l' unicità della divinità, e la trascendenza. Dio é ineffabile, il linguaggio umano non dispone di nomi adeguati per esprimerne l'essenza. I punti fondamentali della filosofia di Filone sono tre:
1.     la trascendenza assoluta di Dio rispetto a tutto ciò che l’uomo conosce;
2.     la dottrina del logos come intermediario tra Dio e L’uomo;
3.     il fine dell’uomo determinato come unione con Dio.
Nella sua perfezione assoluta, Dio è tale che è impossibile conoscere la sua natura. Anche l’uomo inspirato può vedere che egli è, non che cosa egli è. A Dio appartengono le due potenze originarie, la bontà e il potere; per la prima egli è propriamente Dio, per la seconda è il Signore. Tra queste due potenze c’è la terza, conciliatrici di entrambe, la Sapienza, logos o verbo di Dio, che è l’immagine più perfetta di Dio stesso. In questo lavoro, si cercherà di vedere come Filone articola Filosofia, Scrittura e Sapienza; mettendo in rilievo come viene adoperata la parola gnw/sij[6] nel contesto delle sue opere. Tuttavia, bisogna ribadire che, nel De fuga, per riferirsi alla conoscenza Filone usa queste seguenti parole, a dipendere del contesto: μαθηις, μανθάνειν, έπιστήμη e, γνώσις.
Per ragioni metodologiche il paper verrà sviluppato seguendo l’ordine cronologica di composizione delle opere filoniane; esemplificato con alcuni brani del De fuga, dove l’argomento ad essere trattato appaia con maggiore frequenza, permettendo dare una visione panoramica delle principali opere del filosofo ebreo.

 

De fuga et inventione


 
Tra i numerosi scritti esegetici di Filone, il De fuga si distingue per la sua ricchezza di contenuto. In quest’opera l’autore ci invita, con la ricchezza allegorica che gli è caratteristica, a immergere nella vita spirituale per mezzo della pratica ascetica e mistica; a entrare in relazione con Dio; infatti, questa relazione sarà il tema centrale del trattato.
Ordinato intorno al tema della fuga, il trattato racconta la storia della salvezza da questa prospettiva: l’uomo cha si allontana da Dio quando si rende conto della sua mancanza di fedeltà al Creatore, della sua miseria spirituale. Ma, alla fine dell’opera il filosofo alessandrino racconta il ritorno dell’uomo al cospetto di Dio, alle sue origini.
Alla base della riflessione filoniana sta il racconto della fuga della schiava Agar, che appare nella Bibbia, nell’Antico Testamento, nel libro della Genesi, e, che riprodurremo in seguito:
«Or Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Aveva una serva egiziana di nome Agar. 2 Sarai disse ad Abramo: ‘Ecco, il SIGNORE mi ha fatta sterile; ti prego, va' dalla mia serva; forse avrò figli da lei». E Abramo diede ascolto alla voce di Sarai. 3 Così, dopo dieci anni di residenza d' Abramo nel paese di Canaan, Sarai, moglie d' Abramo, prese la sua serva Agar, l' Egiziana, e la diede per moglie ad Abramo suo marito. 4 Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo. 5 Sarai disse ad Abramo: «L' offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è accorta d' essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te’. 6 Abramo rispose a Sarai: ‘Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi’. Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei. 7 L' angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d' acqua, nel deserto, presso la sorgente che è sulla via di Sur, 8 e le disse: ‘Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: ‘Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona». 9 L' angelo del SIGNORE le disse: ‘Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano’. 10 L' angelo del SIGNORE soggiunse: «Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa». 11 L' angelo del SIGNORE le disse ancora: «Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; 12 egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». 13 Allora Agar diede al SIGNORE, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi, perché disse: ‘Ho io, proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista’ 14 Perciò quel pozzo fu chiamato il pozzo di Lacai-Roi. Ecco, esso è tra Cades e Bered. 15 Agar partorì un figlio ad Abramo. Al figlio che Agar gli aveva partorito Abramo mise il nome d' Ismaele. 16 Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele».[7]
In quest’opera, l’uomo fa l’avanti e l’indietro nella scoperta – conoscenza – delle sue miserie e della grandiosità di Dio. Qui, troveremo l’opportunità di vedere come viene adoperata la parola gnosi mentre verrà descritto questo movimento progressivo e regressivo dell’uomo.

1.     La conoscenza del mondo sensibile e del mondo intelligibile

Contesto: § 44-47 – Conoscenza di se e esperienza della vita sensibile
«Rimani laggiù, mio figlio, con lui’ disse lei, non per tutta la tua vita, ma per ‘qualche tempo’ (Gen 27,44), voglio dire, apprendi a conoscere[αίσθήσεων -  Intendere il senso] il dominio dei sensi, conosci ] a te stesso e le parti della tua persona [χώραν κατάμαθε]; apprendi [γνώσι] cos’è ognuna di queste, di ciò che è stata creata e come è destinata ad agire; infine, apprendi quale è lo spirito invisibile, chi, in modo invisibile, mette in movimento i burattini e tira le loro corde, che sia lo spirito che è in te o lo spirito dell'universo».[8]
Contesto: § 56-61 – Il vero senso della vita
«E lei fondò il suo ragionamento [έπιστοΰτο] su questi altri oracoli: Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male’ (Deut 30,15). Di conseguenza, o molto saggio[ώ πανσοΦε], il bene e la virtù sono la vita, il male e i vizzi sono la morte. Ed è detto altrove: 'ama il SIGNORE, il tuo Dio, ubbidisce alla sua voce e tieniti stretto a lui, poiché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni’ (Deut 30,20). La definizione della vita immortale è bellissima: è essere afferrato da un desiderio e da un amore di Dio che non ha nulla di carnale e di corporale».[9]
In linea di continuità con 46 e 58, il numero 46, la motivazione immediata dell’intervento di Rebecca, è in funzione delle minacce fatte Esaù a Giacobbe. Il passaggio da un piano esegetico all'altro mediante l'allegoria risulta essere coerente, in quanto sussiste una analogia fra mondo sensibile e mondo intelligibile, fra il macrocosmo e l'uomo. A Filone interessa soprattutto l'esegesi metafisica e quella morale.
Ciò che Filone cerca nella Genesi non è questa o quella verità filosofica, ma la discrezione di tutti gli atteggiamenti e attitudini dell'anima in rapporto a Dio: l'innocenza e il pentimento. Il metodo allegorico, in Filone è uno strumento indispensabile della vita interiore.
La vita interiore si svolge così fra due poli opposti: quello della fiducia nell'uomo in sé e quello della fiducia in Dio; ma solo attraverso il riconoscimento della propria nullità l'uomo può giungere alla fede in Dio.

2.     La conoscenza paralella allo sforzo morale

Contesto: § 54-55 – Gli omicidi e il vero significato della morte: La morte fisica e la morte spirituale
«Mosè ha parlato con molta precisione sulla fuga quando ha promulgato la legge su gli omicidi; in questa lui a enumerato tutte le categorie di morte: la morte volontaria, la morte involontaria, l’aggressione e la premeditazione. Dice la legge: Chi percuote un uomo che, a motivo di questo, muore, sarà messo a morte. Se però non gli ha teso alcun agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io ti assegnerò un luogo dove egli possa rifugiarsi. Se uno agisce con premeditazione contro il suo prossimo per ucciderlo con inganno, tu lo strapperai anche dal mio altare, per farlo morire’ (Es 21, 12-14)»[10].
«Di qua, in effetto, l’uomo che muore perisce soltanto de la morte? Anch’io mi sono rivolto ad una donna istruita [γυναϊκα σοΦήν] chiamata riflessione [σκεψις őνoμά], e mi sono tolto la preoccupazione: lei mi ha insegnato che alcuni uomini sono morti dai loro vivi come altri sono vivi dopo la loro morte. I cattivi, diceva lei, sono morti, anche se raggiungono l'estrema vecchiaia, dal fatto che sono privati della vita combinata alla virtù, ma la gente onesta, anche staccati della loro associazione con il corpo, vivono per sempre, essendo immortali […]».[11]
In verità, secondo Filone, l’esegesi biblica deve essere fondata sulla riflessione, in opposizione a quella fondata sull’inspirazione.[12] Questa riflessione è capace di illuminare la compressione delle verità della Scrittura. Lo sforzo riflessivo ha la capacità di arrivare alla comprensione delle realtà divine espresse nelle Scritture e la conoscenza è parallela allo sforzo morale.

3.     La conoscenza del mondo conduce a quella di Dio

Contesto: § 207-213 – Al limite del santo e del profano
«Ma, come, tu, anima, che progrediva e approfondiva la conoscenza [dat. έπιστήμη] del ciclo dell’istruzione preliminare[13], non dovevi, mai, vedere l'autore di questa conoscenza [gen. έπιστήμης], riflesso nello specchio che è la cultura? Inoltre, la situazione di tale pozzo è completamente adeguata, ‘tra Cades e Bered’: Bered si traduce con ‘nei mali’, Cades per ‘santa’. Quello che progredisce è, in effetti, al limite del santo e del profano: lui fugge del male, ma non è ancora in grado di vivere con il bene perfetto».[14]
La conoscenza del mondo creato è come uno specchio nel quale possiamo vedere il Creatore. Mosè, per esempio, desidera sorpassare questa forma di conoscenza indiretta per poter contemplare Dio faccia a faccia: «Or dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. Considera che questa nazione è popolo tuo»[15]. Daniélou ha visto in questa immagine dello specchio, il riflesso del versetto di Paolo nella prima lettera ai Corinzi, di Paolo: «Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto».[16]
In verità, Dio è l’autore della conoscenza. Il ritorno di Agar, rappresenta l’anima que progredisce: tendi verso il bene, la è soggetta al errore.

4.     La conoscenza di se conduce a quella di Dio

Contesto: § 132-136 – Rapporto tra cause e risultato
«Per questi due uomini anche sono pieno di ammirazione: uno si interroga sul mezzo termine tra gli estremi e dici: Ecco il fuoco e la legna; ma dov' è l' agnello per l' olocausto? [Isacco]’. L’altro risponde: ‘Figlio mio, Dio stesso si provvederà l' agnello per l'olocausto’. E lui stesso, più tarde, scopre la sostituzione: Abraamo alzò gli occhi, guardò, ed ecco dietro a sé un montone, impigliato per le corna in un cespuglio. Abraamo andò, prese il montone e l' offerse in olocausto invece di suo figlio’ (Gen 7,-8. 13)».[17]
Contesto: § 1-6 – I motivi della fuga
«Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei. L' angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d' acqua, nel deserto, presso la sorgente che è sulla via di Sur,  e le disse: “Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?” Lei rispose: “Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona”.  L' angelo del SIGNORE le disse: “Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano”. L' angelo del SIGNORE soggiunse: “Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa”. L' angelo del SIGNORE le disse ancora: “Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli (Gen 16, 6b-12)» (De Fuga, 1)».[18]
Sia Isacco che Agar rappresentano il basso livello della conoscenza. Tanto è cosi che Agar, rendendo conta della sua rusticità, cammino verso il pozzo, fonte della conoscenza. Ma questa conoscenza è secondaria, fa riferimento alle Istruzioni Preliminari, destinata ai bambini, non agli adulti. È una conoscenza acquisita per via auditiva, non per la vista; è discorsiva, non intuitiva.
Abramo rappresenta l’uomo che pur non conoscendo Dio – cosa Dio è – sa che Dio è, e, per questo si affida a Lui. L’angelo è il logos, che non’è che una immagine degradata della Causa Suprema; è un’immagine offerta a coloro che non sono capaci di bere l’Essere, agli imperfetti, ancora legati al mondo sensibile, ma che si orientano verso il bene.

5.     La conoscenza è indispensabile alla salvezza

Contesto: § 48-52 – Dalla vita sensibile alla saggezza
«Il suo padre lo guida della stessa maniera […]. Lui ha detto: ‘Alzati, va' in Paddan-Aram, alla casa di Bethuel, padre di tua madre, e prenditi di là in moglie una delle figlie di Labano, fratello di tua madre.[…] Tu troverai nella dimora della saggezza [σοΦίας], un porto protetto e calmo, qui sarai accolto senza tristezza al momento del tuo arrivo. Il nome della saggezza indicato dagli oracoli è Betuel, che significa, in traduzione, ‘figlia di Dio’ […]».[19]
Giacobbe dovrà attraversare il fiume tormentoso della vita prima di arrivare al porto e alla dimora della saggezza. In questo commento al brano Filone ci fa vedere come la saggezza feconda e riempi l’anima. Ancora: nutrisce l’anima; orienta il padre nello svolgere il suo ruolo. La sua natura femminile rivela la sua dipendenza in relazione a Dio.
 

Conclusione


Come è stato visto, a Filone interessa soprattutto l'esegesi metafisica e quella morale della Sacra Scrittura. Per quanto concerne la prima egli si ispira a Platone; nella seconda raggiunge invece i momenti più significativi e più nuovi. Nel suo De fuga, l’esegesi allegorica prende una sua connotazione chiaramente morale.
Nel percorso fuga-pentimento-ritorno intrapreso dalla schiava Agar si fa riflesso della vita interiore che si svolge così fra due poli opposti: quello della fiducia nell'uomo in sé e quello della fiducia in Dio; ma solo attraverso il riconoscimento della propria nullità l'uomo può giungere alla fede in Dio. Infatti, è in rapporto con Dio che l’uomo scopre il suo vero talento e, ugualmente, la sua nullità. La ricerca di Dio, già diceva Filone è desiderio de conoscenza, desiderio esistente in ogni uomo; d’altra parte, è la conoscenza di Dio la vera saggezza [sofi,a].[20]
Essendoci due tipi di intelletto, quello dell'universo, che è Dio e quello proprio di ciascun uomo, colui che fugge dal proprio intelletto si rifugia in quello universale (lascia il proprio intelletto chi riconosce che tutto ciò che dipende dall'intelletto umano è di nessun valore e attribuisce ogni realtà a Dio). Invece, colui che fugge Dio sostiene che Dio non è causa di nulla, ma che è lui stesso la causa di tutte le realtà. Le altre forme di apparente saggezza possono essere applicate ai mestieri puramente artigianali.[21]

 

Bibiografia

 

Abbagnano, N., Storia della filosofia I. il pensiero greco e cristiano: dai Presocratici alla scuola di Chartres, editoriale l’espresso, Bergamo, 2005.
Bhérier, E., Les idées philosophiques et religieuses de Philon d’Alexandrie, paris, 19593.
Daniélou, J. Philon d’Alexandrie, Paris, 1958.
Montanari, F., Vocabolario della lingua Greca, Milano, 2006.
Reale, G., L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/ rassegna /000702d.htm.
Rocci, L., Vocabolario greco-italiano, Dante Alighieri, Milano, 1995.





[1] Nato fra il 30 e 20 a.C., Filone, noto anche come Filone l'Ebreo, fu nel 40 d.C. a Roma come ambasciatore dei Giudei alessandrini presso l’imperatore Caligola. Appartenente a una delle più ricche ed influenti famiglie della città e forse fu il primo grande commentatore dei testi biblici da lui conosciuti in traduzione greca.. Per la biografia e filosofia: Abbagnano, 34, 394-306, 398; http://it.wikipedia.org/wiki/Filone_ di_Alessandria; http://www.filosofico.net/filone.htm.
[2] «In genere, Filone interpreta i simboli biblici a quattro livelli: 1) quello cosmologico, quando ricerca che cosa il simbolo biblico può significare in rapporto alla comprensione del cosmo; 2) quello antropologico, quando ricerca che cosa l'interpretazione biblica significhi in rapporto alla costituzione e alla struttura ontologica dell'uomo; 3) quello metafisico quando cerca dì scoprire ciò che si può ricavare dal simbolo biblico sul mondo intelligibile; 4) infine a livello morale e teologico ricerca che cosa indichino i simboli e le narrazioni bibliche in rapporto alla vita interiore e alla storia dell'anima che cerca Dio» (Reale, L'allegoria del peccato in: http://lgxserver.uniba.it/lei / rassegna/000702d.htm).
[3] Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/000702d.htm.
[4] Cf. Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/000 702d.htm.
[5] «Cerchiamo di spiegare, innanzitutto, che cosa si intenda per ‘allegoria’ e anche per ‘simbolo’, termine e concetto strettamente connesso con il precedente. Gadamer ha dato una spiegazione eccellente dei due termini: "Sebbene allegoria e simbolo appartengano a due sfere diverse, sono vicini non solo per la loro comune struttura di rappresentazione di qualcosa mediante qualcos'altro ma anche perché trovano per eccellenza la loro spiegazione nell'ambito religioso. Il concetto di allegoria nasce dall'esistenza teologica di eliminare dalla tradizione religiosa (originariamente questo si verifica per Omero) ciò che ha un aspetto scandaloso, scoprendo al di sotto di esso verità valide. Accanto a questo concetto retorico-ermeneutico di allegoria viene poi a porsi anche il concetto di simbolo anzitutto per opera della trasformazione cristiana del neoplatonismo. Lo Pseudo Dionigi, proprio all'inizio della sua opera fonda la necessità di procedere simbolicamente sull'incommensurabilità tra l'essere sensibile sovrasensibile di Dio e il nostro spirito legato alla sensibilità. Il symbolon riceve in tal modo una funzione anagogica; ci innalza alla conoscenza del divino, allo stesso modo che il discorso allegorico ci conduce a un significato "superiore". Il procedere allegorico dell'interpretazione e il procedere simbolico della conoscenza sono necessari per la medesima ragione: non è possibile conoscere il divino se non in base al sensibile". Naturalmente, questo presuppone un preciso nesso strutturale fondativo fra il "sensibile" e il "soprasensibile", ossia la concezione del sensibile come immagine del soprasensibile. E questo è garantito in modo particolare dalla metafisica platonica e dei Platonici. Gadamer fa riferimento ai Neoplatonici Cristiani e in particolare allo Pseudo Dionigi Areopagita. Ma le origini stanno proprio in Filone e nella sua reazione del pensiero platonico, con cui si apre la stagione del Medioplatonismo, due secoli prima della nascita del Neoplatonismo» (Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/000702d.htm).
[6] La parola viene tradotta in italiano come: cognizione,conoscenza; scienza, saggezza (Rocci, 396); Il conoscere, conoscenza, nozione (Cf. Montanari, 452).
[7] Gen 16,1-16.
[8] De Fuga, 46.
[9] De Fuga, 58.
[10] De Fuga, 53.
[11] De Fuga, 55.
[12] Cf. Bréhier, 193-194.
[13] Si riferisce a uno suo trattato scritto precedentemente (Cf. De fuga, 2).
[14] De Fuga, 213.
[15] Esodo 33,13.
[16] Daniélou, 201.
[17] De Fuga, 132.
[18] De Fuga, 1.
[19] De Fuga, 48.
[20] Cf. De Fuga, 82; Reale, L'allegoria del peccato in : http://lgxserver.uniba.it/lei/ rassegna/ 000702d.htm.
[21] Cf. De Fuga, 82;

1 commento:

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