25 maggio, 2013

Il convento di San Rocco di Farnese: tra storia, federal ed arte


A cura del Padre Superiore del convento di S. Rocco[2].


Il primitivo convento abitato in Farnese dai frati Minori era quello costruito per essi, insieme alla Chiesa di San Rocco, da Giulia Acquaviva, moglie di Pier Bernanrdo (sic)[3]Farnese, nel 1560[4]. Tale convento costituisce attualmente il Monastero delle Clarisse di S. Maria delle Grazie, mentre i frati risiedono nella parte opposta del paese, nel luogo volgarmente detto S. Umano o S. Magno. Il cambio avvenne nel 1617 allorché la Ven. Francesca Farnese, monaca clarissa, chiese al padre Mario, Duca di Latera, che le facesse costruire un altro monastero presso Farnese, dove intendeva trasferirsi per vivere una vita più rigorosa con altre consorelle[5]. Il Duca a sua volta chiese ai frati di cederli il convento per lo scopo indicatogli dalla sua figlia, impegnandosi a costruire un nuovo e più grande per essi. Il che fu fatto appunto nel luogo ove si trova ora e nel quale fu trasferito anche il titolo di San Rocco[6].
La chiesa annessa a questo nuovo convento di San Rocco fu ingrandita nel secolo seguente e consacrata al culto il 21 giugno del 1733 da Mons. Simone Grilli, vescovo di Acquapendente[7]. Il piccolo coro primitivo fu, anch’esso, prolungato e abbellito o meglio arricchito da una vera opera d’arte quale sono gli stalli in noce intagliati da due frati francescani di origine francese, di ottima fattura e con notevoli motivi di interesse artistico[8]. Il coro era completato da un grande leggio corale, anch’esso in noce, restaurato alcuni anni fa e da alcuni anni, misteriosamente scomparso.
Nella chiesa di conserva un quadro molto bello di Santo Antonio da Padova, opera del Lanfranchi (1700) (sic)[9], mentre risulta assente un altro quadro di Santo Stefano dipinto verso la metà del 700 da Giuseppe Doprà (sic)[10], anche questo scomparso da qualche anno. Ma l’opera artistica più rinomata e importante della Chiesa è, certamente, il Crocifisso che troneggia sull’altare maggiore. È uno dei crocifissi miracolosi di fra Vincenzo da Bassiano, religioso francescano, morto il 25 marzo del 1694[11].
Il secolo XVII. fu il periodo d’oro dei così detti “crocifissari”, artisti, cioè specializzati nell’intagliare crocifissi in legno e non soltanto questi, ma anche statue, pale d'altare, cori, pulpiti, sagrestie ecc.
I “crocifissari” fiorirono specialmente nell’Ordine Francescano dove portarono - attraverso la scultura lignea -, un nuovo soffio di vita per un complesso di ragioni, alle quali non è estraneo l'amore alla povertà ed alla semplicità francescana che desideravano risplendesse come caratteristica particolari nei conventi e nella suppellettile delle loro chiese. Per una costante consuetudine, i frati francescani – specie dopo il prevalere tra loro di correnti più rigide e osservanti – volevano che gli stessi candelieri, le cornici intagliate ad ornamento dei quadri degli altari, perfino le balaustre dinanzi all’altare maggiore ed alle cappelle laterali, fossero in legno di colore naturale o leggermente tinteggiato a noce. Per norma generale – di povertà – era bandito delle loro chiese l’uso del marmo o di altro materiale pregiato.
Esigenze liturgiche ed una ordinazione che risale al Papa Leone X, volevano che sopra ogni altare venisse collocato il Crocifisso. Ma i Francescani erano indotti a questo anche per un particolare amore verso la Passione di Gesù Cristo, che avevano appreso dalle esortazioni e dagli esempi del loro Serafico Padre S. Francesco. Al periodo del secolo XVII-XVIII risale la diffusione enorme che i Francescani fecero del Pio esercizio della Via Crucis dentro e fuori delle chiese. La Via Crucis iniziava all’altare maggiore ove troneggiava il Crocifisso e dopo esser passata attraverso le 14 stazioni o fermate, si concludeva di nuovo davanti al Crocifisso.
Le circostanze sopra descritte spiegano l’improvvisa fioritura di artisti Francescani, che in poco più di un secolo si diffondono per la Sicilia, per la Calabria, nell’Lazio, nelle Marche, nella Lombardia, dovunque sorga un convento che senta e viva il nuovo soffio di vita serafica. Di qui lo sbocciare quasi improvviso del Pio fra Vincenzo da Bassiano; autore del Crocifisso esposto al culto della Chiesa di S. Rocco in Farnese; fin dal 22 Maggio del 1684[12], di altri Crocifissi; tra cui, il famoso crocifisso di Nemi.
Fra Vincenzo da Bassiano, laico Francescano, è uno di quei rari artisti isolati; che si manifestano tali prescindendo da ogni influsso della scuola e dell’ambiente; che sbocciano sul come per generazione spontanea senza subire alcuna spinta sterna né dai precetti del maestro; né dalla meccanica ripetizioni modelli di bottega.
Sospinto come da una misteriosa forza interiore, egli medita a lungo e profondamente il soggetto che ha colpito il suo spirito; ed un giorno da contemplativo si sente trasformato in artista.
Non è cresciuto in mezzo a confratelli scultori; nessuna tradizione precedente conduce la sua mano nel disegnare o scolpire le membra tormentati dei suoi Crocefissi; nemmeno una particolare inclinazione per la scultura lo introduce in questa insolita via. Anzi quando prende in mano la sgorbia ed il martello per dare vita alla prima delle sue statue; conosce appena i primi rudimenti dell’arte: La molla principale che lo muove è la sua pietà, alimentata dalla preghiera e dalla penitenza; e mediante questi mezzi riesce a manifestare con sincerità sorprendente i profondi sentimenti della sua anima contemplativa.
Il suo spirito provava un particolare amore verso Gesù Crocifisso; e la fantasia gli rappresentava così al vivo le ferite e le pene di lui come se le vedesse coi propri occhi. Si dedicava alla scultura – particolare singolare! – soltanto il Venerdì dopo avere atteso a lunghe e fervorose preghiere; unite a particolari penitenze ed a rigoroso digiuno protratto per tutto il giorno in pane ed acqua[13]. Non pensava a fatto di diventare un “Crocifisista” di professione; ma considerava questa pia occupazione quasi un aiuto alle sue profonde meditazioni; e sperava che l’opera sua riuscisse di vantaggio alle anime del prossimo ed alla sua. E così avvenne.
Le sculture di Fra Vincenzo si ispirano ad un realismo dal volta un po’ rude, che però scuote e commuove gli spettatori, eccitandone la devozione e la compassione. L’artista si rivela figlio del suo tempo ed è guidato da una fantasia vivace ed espressiva. Nel Crocifisso di Farnese Fra Vincenzo Modera alquanto il violento realismo precedente e anche nella colorazione delle carni.
Si mostra più circospetto; ma anche in quanto esemplare quante piaghe strazianti, quante lividure, quanto sangue diffuso raggrumato! Ma quella misticamente stupenda testa del Crocifisso, attira in modo particolare lo sguardo e il cuore del fedele.
La testa del Crocifisso, leggermente piegata sulla spalla destra, è coronata di spine che s’infiggono sulla fronte; gli occhi sono chiusi o semichiusi secondo la posizione da cui si osservano ed al quanto tumefatti; la bocca semiaperta, i capelli scendono sugli omeri la barba inanellata si diffonde sul petto. Nelle braccia distese si vedono ben rilevanti le parti carnose; le vene tumescenti ed alquanto in rilievo, si ramificano come tralci di edera lungo il tronco di un albero.
La vita mortificata e santa dell’umile religioso, l’espressione commovente del volto del Cristo, in aperto contrasto con la mediocre perizia sullo scultore, contribuirono molto ad accreditare la leggenda tramandataci dalla tradizione secondo la quale il volto del Salvatore sarebbe stato scolpito dagli angeli, che approfittarono un momento in cui il devoto religioso si era allontanato dalla cella del suo lavoro[14]. Lasciamola pure cadere questa leggenda, tanto più che una vera fede e una devozione genuina non la bisogno neppure del miracolo per credere e amare.
Il Crocifisso di Fra Vincenzo esposto nella chiesa di S. Rocco, è stato sempre venerato non soltanto dal popolo di Farnese, ma anche dai paesi vicini[15]. Per conservare ed accrescere il culto, fin dai primi tempi, fu istituita una celebrazione trentennale della sua festa. Nell’archivio del Convento c’è tutta una documentazione storica dei vari trentennali fin qui celebrati, sempre con solennità anche esterna con partecipazione numerosa di popolo e presenza di autorità religiose e civili. L’ultimo trentennale avvenne nel 1945 ed, il prossimo avverrà tra breve e cioè nel prossimo anno 1975[16].

Prossima la data, prossima l’occasione che ci è offerta per far ritrovare i fedeli di Farnese al culto fervoroso del “loro” Crocifisso che poi è il Cristo di tutte le anime redente. Nonostante i tempi difficili che stiamo vivendo, ogni sforzo sarà fatto per rinnovare la festa trentennale del Crocifisso nella maniera più efficace e solenne, conforme a quella bella tradizione quei nostri antenati ci hanno lasciato. Ricordiamo a questo punto il devoto gesto che qualche anziano lavoratore dei campi fa davanti alla Chiesa di S. Rocco per ossequiare il Crocifisso: il gesto di togliersi il cappello quando parte o ritorna dal lavoro. La nostra vita è un po’ una Via Crucis che si ripete ogni giorno: con il Cristo il fedele inizia la sua giornata, con il Cristo intende concluderla nella speranza di salvezza e della Resurrezione. 


[1] Usando come riferimento bibliografico, deve essere citato cosi: P. Modesto Cruciani, Convento di San Rocco: storia, fede, arte, Archivio della Parrocchia SS. Salvatore in Farnese, Mans., Cart. D4. Le note a pie di pagina sono mie.
[2] Dalla datazione sottointesa nell’articolo […] L’ultimo trentennale avvenne nel 1945 ed, il prossimo avverrà tra breve e cioè nel prossimo anno 1975; si può dedurre che il suo autore è, Padre Modesto Cruciani, O.F.M. [Ordine Francescano Frati Minori], superiore della Comunità in quelli anni; e, tutto’ora vivo. Con 91 anni di età, risiede a Roma, nella Parrocchia San Sebastiano Fuori le Mura. Per quest’ultima informazione, si ringrazia ad Antonio Bartoloni. Fu lui a riconoscere la grafia del francescano, autore dell’articolo.
[3] Il sic serve per evidenziare che l’uso incorretto o insolito della punteggiatura, dell’ortografia o della forma di scritta presente in una citazione, proviene dal suo autore originale. nel presente caso, si sa che il signore di Farnese è Pier Bertoldo Farnese.
[4] P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori della provincia romana, Roma, 18452, 199. Cf. A. PalmieriTopografia statistica dello stato pontificio, Roma, Tip. Forense, 1857; AA.VV., Farnese: a ricordo del Terzo Centenario del SS. Crocifisso (1684-1984), Roma, Tip. A. Centenari, 1985.
[5] Cf. A. Nicoletti, Vita della venerabile Madre Suor Francesca Farnese, detta di Giesù Maria, dell' Ordine di Santa Chiara: fondatrice delli Monasterij di Santa Maria delle Gratie di Farnese, e della SS. Concettione di Albano, e di Roma, e Riformatrice del Monasterio di Santa Maria degli Angeli di Palestrina, Roma, Appresso Giacomo Dragondelli, 1660; P. Rietbergen, Power and Religion in Baroque Rome: Barberini Cultural Policies, Leiden, Brill Academic Publishers, 2006;A. Blasucci, «Maria Francesca Farnese»DIP, III, 1415-1416; S. Andretta, La venerabile superbia: ortodossia e trasgressione nella vita di Suor Francesca Farnese, Torino, 1999.
[6] Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 200-206.
[7] Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 205.
[8] Cf. Ibid.
[9] È alquanto anomala l’attribuzione dell’opera già che autori di maggior rilievo non lo fanno. Padre Casimiro da Roma, per esempio, di quest’opera, riconosce la sua esistenza ma non il suo autore. Descrivendo il convento farnesano afferma che, «Il quadro di s. Antonio, posto nella cappella situata in ‘cornu epistolae’ dell’altare maggiore è assai stimato dai pittori; e quello di s. Stefano è stato colorito da Giuseppe Doprà» (Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 205). Un’ulteriore problema è la data che il frate attribuisce alla fattura del quadro perché, Giovanni Gaspare Lanfranco (Parma, 26 gennaio 1582 – Roma, 30 novembre 1647) è morto molto prima. L’unico dato che può far credere che l’opera sia sua è il fatto che lui, da giovanne sia stato affidato alla guida di Agostino Carracci che fu chiamato a Parma dal duca Ranuccio Farnese. Avendo il Duca stretti legami con i signori di Farnese, potrebbe essere stato il ponte tra il quadro e l’autore a cui viene attribuito (Cf. D.G. CavalleroGiovanni Lanfranco, un pittore barocco tra Parma, Roma e Napoli, Studi romani, 50, 2002; A. Brogi, «Lanfranco: ‘ritratto di santo’», in D. Lenzi,ed., Arti a confronto: studi in onore di Anna Maria Matteucci, Bologna, Compositori, 2004). Mancherebbe, a questo punto, la ricostruzione dei fatti che collaudassero l’arrivo dell’opera al Convento.
[10] Secondo Vesme, i fratelli Duprà - Giuseppe e Domenico - erano ritrattisti. Giuseppe (Torino, 1703 - Torino, 1784) fu allievo del romano Marco Benefial; e, che, nel novembre del 1750, con raccomandazione dell’Albani protettore del regno dei Savoia dal 1724, partì per Torino. Infatti, i fratelli Duprà sono documentati, entrambi come ritrattisti ufficiali dei Savoia, in un’attività congiunta nella stessa bottega. Durante il loro sodalizio eseguirono, sia autonomamente sia in collaborazione, numerosi ritratti originali e copie di ritratti documentati dai pagamenti [Cf. Schede VesmeL’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, II, 437-443]. In collaborazione con il fratello, realizzò ritratti e opere destinate non soltanto alla casa torinese, ma alle più importanti famiglie regnanti: incarichi arrivano da Parigi, da Madrid, da Vienna, dalla Baviera. Essendo un ritrattista, sembra poco probabile l’attribuzione del quadro scomparso. Quest’informazione di P. Modesto ha come probabile fonte l’opera di Casimiro da Roma, citata nella nota anteriore. Sarebbe, però, inprobabile che un francescano confondesse il tema dell’opera. Il quadro esistente non ritratta Santo Stefano e, si, San Francesco. Già, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, nel suo site, attribuisce il dipinto su San Francesco a Domenico Duprà. «Alla stessa tornata di restauro ed agli studi connessi, alcuni in corso di pubblicazione, vanno riferite le identificazioni di altri dipinti […] Le stigmate di San Francesco’ in San Rocco a Farnese di DomenicoDuprà» [Cf. http://www.soprintendenzabsaelazio.it/news/news/page-2.html (31/08/2010)]. Resta aspettare la pubblicazione per capire e confrontare il criterio della catalogazione e le rispettive prove storiche e bibliografiche .
[11] Tra le poche tracce biografiche dello scultore, le più attendibili sono cinque. La prima, nomina quattro volte il bassianese; ma solo quando parla dei Crocifissi di Nemi e di Farnese [Cf. P.E. RomanelliFra Vincenzo da Bassiano e i suoi crocifissi in, AA.VV., Farnese: a ricordo del Terzo Centenario del SS. Crocifisso (1684-1984), Roma, Tip. A. Centenari, 1985, 29]. La seconda fonte, citata da P. Emanuele, sottolinea che, «Le notizie [sul religioso scultore]tramandateci dal Padre Casimiro sono state raccolte sinteticamente dal P. Samuele Platoni da Farnese (morto nel 1807) nella compilazione del “Necrologio della Provincia Romana”, al giorno 25 marzo 1694: “Nel convento di Aracoeli, fra Vincenzo da Bassiano, con fama di santità. È fama costante che questi fu sempre intento alla contemplazione della passione di Cristo. Essendo alquanto perito nell’arte della scultura scolpì molte immagini del Santissimo Crocifisso, conosciutissime per la gloria dei miracoli ed il concorso di fedeli. Sono particolarmente venerate quelle dei conventi di Nemi e di Farnese: al lavoro delle medesime non attendeva se non nei giorni di venerdì dopo aver flagellato a sangue il proprio corpo in ginocchio, e digiunando a pane ed acqua, tanto che possono dirsi effetto della pietà più che dell’arte e della tecnica» (Ibid.). Infine, le ultime fonti, più attendibile di questa precedente sono due manoscritti dell’Archivio romano dell’Aracoeli: ms. 63, di cui dette notizia ne riassunse i dati salienti il P. Romanelli nel suo articolo del 1987 sull’Osservatore Romano; e, il ms. 79, «un frammento delle Memorie e documenti raccolti dal p. Antonio da Cipressa: poche righe di un necrologio che gettano nuova luce, fornendo dati precisi su una figura che era rimasta fino a questo momento nebulosa: “ A dì 25 marzo 1694. Passò a miglior vita in questa nostra infermeria d’Aracoeli il Laico F. Vincenzo da Bassiano, dopo esser vissuto nella Religione per lo spazio di anni 55 e 70 di età con singolar concetto di santità. Amatissimo non solo dai Religiosi tutti, ma altresì universalmente dal secolo, perito in moltissime arti, e singolarmente nella scolatura, che esercitò con tanto profitto dei fedeli a gloria di Sua Divina Maestà, con quanta evidenza e splendore ne fan testimonianza i continui Miracoli che il Signore Dio va operando mediante l’effigie del Santissimo Crocifisso da lui devotamente scolpita in diversi conventi di questa Romana Provincia. Fu seppellito la notte del 26 suddetto, a ore 3 circa”». I Dati portano alla luce alcuni particola biografici: che «fra’ Vincenzo, nacque nel 1624 e fece il suo ingresso tra i Frati Minori Osservanti nel 1639. Scelse di rimanere un frate laico e non diventò mai sacerdote». Finalmente, il ms. 79, documento del notaio Panfilo Laurenzi, che il 23 aprile 1662, dall’Archivio dell’Aracoeli. «Essendo che il Reverendo fra’ Vincenzo da Bassiano, Custode della Salara [in pratica custode dei magazzini, dove veniva riposto il sale, che in quel tempo rappresentava un bene prezioso, sottoposto a pesanti gabelle] di Roma, per divina ispirazione mosso, abbia intagliato il Santissimo Crocifisso»Nello stesso ms. 79, si ritrova anche un documento dell’anificio del convento, dove venivano registrati i nomi dei frati ai quali veniva consegnato un abito nuovo. Fra quelli che ricevettero l’abito nel 1662, si trova mensionato, in giorno di 27 ottobre, anche « Fra Vincenzo da Bassiano, falegname» (Cf. Fra Vincenzo da Bassiano e i suoi Crocifissi, 2008; in, http://www.parrocchiasantagata.com/fra-vincenzo/io-crocifissi-di-fra-vincenzo-da-bassiano/fra-vincenzo-e-i-suoi-crocifissi.html [28/08/2010]).
[12] «L’unica nave di questa chiesa contiene due Cappelle, e tre altari; nel maggiore, dietro cui è situato il Coro, lavorato nel principio del corrente secolo da due Religiosi Francesi, con molta diligenza e gusto, si venera una divota immagine del nostro Redentore Crocifisso, formata da F. Vincenzo da Bassiano, e collocata in esso, dopo una generale processione fatta per tutta la Terra il dì 22 maggio 1684» (P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 205). P. Romanelli, in un articolo posteriore, apparso on-line, cita questo testo di P. Casimiro (Cf. P.E. RomanelliFra Vincenzo da Bassiano e i suoi Crocifissi, 2008; in, http://www.parrocchiasantagata.com/fra-vincenzo/io-crocifissi-di-fra-vincenzo-da-bassiano/fra-vincenzo-e-i-suoicrocifissi. html [28/08/2010]).
[13] Casimiro da Roma informa che questo era l’atteggiamento del frate mentre scolpiva il Cristo di Nemi, non fa riferimento al Crocifisso farnesano (Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 277-278).
[14] L’informazioni di Padre Modesto indurre a pensare che avessi in mano il libro di Padre Casimiro da Roma che, però, da un’informazione più sottile ‘sull’aiuto angelico’ del frate scultore. Inoltre, il riferimento è al Crocifisso di Nemi: «[…] ed è fama costante ch’egli un dì ritrovasse il di lei volto perfettamente compiuto da mano invisibile» (Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 278).
[15] «[…] Ne i Venerdì di marzio sogliono i Farnesani visitarla processionalmente con grandissima devozione; e la Comunità di Proceno due volte l’hanno, ne i mesi di Giugno, e di Settembre, vi spedisce le Compagnie della SS. Trinità, e della Morte con oblazioni di cera» (Cf. P. Casimiro da RomaMemorie istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori, 278).
[16] Nell’archivio Parrocchiale di Farnese sono stati individuati più di un manifesto invitando la popolazione a partecipare ai trentennali in onore del Crocifisso. Questi risalgono all’Ottocento. Nel 1985, sempre sotto la gestione conventuale superiore di P. Modesto e di Don Nazareno Ercole, parroco di Farnese, fu realizzata la missione – ed altri eventi – per ricordare il terzo centenario del SS. Crocifisso del Convento francescano di Farnese. Fu pubblicato, posteriormente, un opuscolo – Farnese: a ricordo del Terzo Centenario del SS. Crocifisso (1684-1984) – che raccoglieva parte di questa storia, arricchita, soprattutto, dalla descrizione degli eventi realizzati in quelli anni e dalla testimonianza fotografica. Dalla testimonianza di A. Bartoloni, si è venuto a sapere che i festeggiamenti del trentennale che cadeva in 1975, preannunziati in questo articolo, non fu realizzato a causa del cambiamento delle famiglie religiose nei conventi della Provincia Francescana Romana.

11 maggio, 2013

A crise espanhola


O espanhol é um povo de uma audácia e tenacia únicas. Sabe engenhosamente recomeçarem, sempre, quantas vezes sejam necessárias. Lembro-me das Espanhas que conheci: a pobre Estremadura, a Galícia rural, o Pais Basco - com sua excelente qualidade de vida, quase americano nos modos, céltico na mística,... Que olha para Madrid como o mostro subterrâneo que come, prepotentemente, suas riquezas; a Catalunha e Valencia com seu futurismo arquitetônico capitaneado por Gaudi e Calatrava; o folclórico sul espanhol com seu passado mozarábico, sua fé popular arraigada e atrelada na contrarreforma católica - é sim, ainda estamos ali -; e Madrid, a transgênica cidade, almodoviana capital, com um pé no presente e outra no passado. Capaz de transformar refluir numa mesma cela o generalíssimo Franco e esquerdismo de Zapatero. A Espanha é assim, caminha carregando simultaneamente dentre de si seus vários passados. Parece equilibrar seus antagonismos: Opus Dei e Neocatecumenal, La Macharena e a Virgen de Pilar, o emigrante magrebino e emigrante latino,... A Espanha machadiana e unamuniana é assim!
Mas, nos últimos tempos, o que mais me tem atirado à atenção tem sido a gestão da grande crise econômica nacional. Quando comecei a frequenta-la, outra vez, a causa dos encontros com meu moderador da tese doutoral - um dominicano, irmão do inquisidor Torquemada, teólogo, discípulo di Pannicar, teólogo liberalmente de fronteira - pude acompanhar, olhando jostengerdernianamente desde fora, os passos da crise e os passos no reconhecimento da crise. No primeiro ano, 2006, vi a borbuja imobiliária de Valencia crescer. Os prédios pareciam fungos, cresciam da noite para o dia. Um ano, dois anos depois,... Buuuummmm! A bolha explodiu. Nos anos seguintes observei os indignados - participei pessoalmente a uma das manifestações, em Madrid - e a progressiva consciência de que a crise não era uma coisa mediática. Era real! O que hoje sei e não sei dizer é que: primeiro, ninguém atribui a crise ao governo Zapatero; secundo, a crise ainda está por ai, batendo na porta dos amigos e dos vizinhos; quando não, batendo em nossas portas. Dai vêm-me outras duas conclusões: a de que a crise só não colocou toda a Espanha de joelho porque uma parte não indiferente da economia vive do que acumulou no mercado externo, vive das consequências dos resquícios do sistema colonial; e, é justo destacar, o espanhol é um povo inovador, que traz dentro de si não somente o passado das descobertas dos avanços d'além-mar, da defesa sarracena, mas, um marcado caráter inovador.
Da crise que assolou toda a Península Ibérica, têm emergido grandes comissões de bairros, associações, creches, restaurantes populares, hortas comunitárias dentro de grandes cidades,... Tudo fruto da iniciativa privada. Viva a subsidiariedade! Antes que esperar pelo Estado, a população tem feito a sua parte economizando, organizando-se, associando-se para aliviar as dores da crise. Enquanto Estado não chega com soluções mais profundas, a população corre atrás de paliativos que mantém viva principalmente a certeza de que mesma na desgraça, não está só. Ao contrario do que se pensa a crise não gera o egoísmo e sim, ao menos no caso espanhol, faz nascer uma comunidade.

Quando o sol da o ar da graça


     Mais uma vez, o sol faz-se valer, após um interminável inverno e nós, vamos lá, saboreando sem pensar, as graças de uma jornada primaveril. O que mais espanta e ainda ter que cobrir-se como se fossemos em pleno inverno. Andar de moto, neste período, só sendo assim, coberto dos pés à cabeça. Bem nesta Itália de meu Deus, a primeira parada, após percorrer qualquer quilometro e ainda não abandonar a Urbe, para num semáforo e das mãos de um asiático ou de um africano saariano, compro o jornal. Com um euro e cinquenta se leva à praia o jornal só sábado, com mais de 40 paginas recheada de noticias - e de futilidades - e o encarte semanal: revista de 180 páginas, papel de grande qualidade, uma revista de variedades. Parece até mentira a possibilidade de comprar tanta informação tão baixo custo. O motivo é simples, o mercado editorial recebe subversão estatal.
     Enquanto dirigia-me ao mar, pedindo a Deus que na praia não ventasse muito, pensei naqueles vendedores de jornal; em quanto ganhariam para vender cada exemplar. Em minhas contas, uma mixaria, uma miséria. Praia quase vazia, uma bocas famílias, alguns pescadores, cães correndo na areia ou banhando-se no mar; sol e vento amenos, água gélida, qualquer avião e helicóptero sobrevoando o céu... Perfeito dia primaveril de mar.
     Outra coisa que me faz pensar é a superação do preconceito de levar lago para lanchar. Como presunto pequeno burguês - ao menos mentalmente - sempre julguei muito popular o ato de levar bolsas, tapawers e sacolinhas varias contendo os avanços do dia anterior, as frutas ao limite da validade, o "sanduíchezinho",... Pobre e limitada mentalidade pequeno-burguesa! Quando é que entrará na moda economizar?
     Bem, a praia me inspira algumas coisas: caminhar, fazer exercícios físicos na beira do mar; e, a melhor de todas as inspirações: ler. Dai o jornal, dai a revista, dai o I-pad. Já não posso fazer a menos de mostrar aos amigos, companheiros de praia, a notícia da ultima hora, aquela coisa que li e tanto me marcou, aquela imagem radicalmente expressiva.
Bem, depois de caminhar, fazer exercícios na beira do mar, debruço-me na areia formada de grãos não tão pequeninos de rochas negras e abro o jornal. O editorial do jornal "de direita" preanuncia os temas principais. Política, novo-governo, política, costume e sociedade, novo-governo, política. O italiano respira política. Mesmo quando não emerge o sentido critico, sabem o que acontece, reproduzem as opiniões dos telejornais e, por vezes, sabem "dizer a sua" sobre a crítica e mutável situação atual. Um ministro negro - o primeiro caso na inteira historia nacional -, um governo fragilmente coligado, audazes temas na agenda governativa - ius solis, direitos homossexuais, reforma do sistema eleitoral, plano para a superação da crise econômica assustadora,... E haja paginas nas revistas e nos jornais pra especular sobre estes temas! Lendo tais temas e olhando ao meu redor tudo aparenta ser tão virtual! Virtual o mundo em que vivo; virtual a situação descrita, virtual o mundo real. E è assim! A Itália traz dentro de si tanta história, tanta força que abrindo os olhos - ou fechando-os - abrindo um jornal - ou fechando-o - ao viajar no passado e no presente, com seus monumentos arqueológicos milenares ali, naquela praia, tão diante de mim, tudo parece tão efêmero, inclusive as minhas e as opiniões alheias. Mesmo quando gritando aos céus, diante da magnificência de Roma, a história presente, mesmo quando pungente, torna-se virtual. Vencerá o bom senso, a consciência histórica - com sua divida histórico-social pra com as minorias que construíram um Império -; ao fim, somente o bom senso poderá devolver o esplendor de sempre de uma civilização que ainda hoje se permite "impartire" desde si, uma benção Urbi et Orbi.